Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 18336 del 9 maggio 2022
X è indagato per il delitto di abuso d’ufficio, perché, nella sua qualità di competente dirigente del Comune, omettendo di adottare i provvedimenti impostigli dagli artt. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, e 107, d.lgs n. 267 del 2000, in caso di attività urbanistico-edilizia abusiva, avrebbe procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale alla “Y s.r.l.” e ad altre società,che avrebbero utilizzato alcuni fabbricati abusivi per l’esercizio dell’attività imprenditoriale di gestione di rifiuti.
La difesa ha dedotto che gli accertamenti fossero di competenza della polizia municipale.
La Suprema Corte ha preliminarmente ricordato che l’art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001 (testo unico in materia edilizia), prevede che «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita (…) la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi» (comma 1), provvedendo alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi «quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo (…) nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici» (comma 2).
Dunque, non solo non v’è alcuna norma che preveda, quale necessario presupposto per l’esercizio di quei poteri da parte del dirigente, che l’accertamento degli abusi debba avvenire esclusivamente ad opera della polizia municipale, o comunque secondo specifiche formalità rituali; anzi, dall’incipit del predetto comma 3 dell’art. 27, t.u. edilizia («ferma rimanendo l’ipotesi prevista dal precedente comma 2»), si desume piuttosto che quella della denuncia ad opera dei cittadini o dell’attività d’ufficio da parte di altri organi comunali costituisca solamente una modalità alternativa dell’accertamento, del cui obbligo il legislatore ha inteso gravare in primo luogo proprio il dirigente responsabile.
Erra, inoltre, la difesa, là dove deduce che l’iniziativa dell’abbattimento o meno di quei manufatti rientrasse nell’àmbito di discrezionalità del dirigente, sottratto, come tale, a séguito della riforma dell’art. 323, cod. pen., con la novella del 2020, all’area della rilevanza penale. Nel caso specifico, infatti, la valutazione discrezionale riservata al pubblico funzionario è limitata ai presupposti tecnici della natura abusiva o meno dei manufatto, ma non alle determinazioni conseguenti all’accertamento di tale natura, le quali, invece, secondo la normativa dianzi richiamata, debbono essere da lui obbligatoriamente adottate. E’ sufficiente rilevare, allora, che, nell’ipotesi in rassegna, il carattere abusivo delle opere edilizie è incontroverso, dovendo da ciò concludersi che l’indagato abbia operato – così come richiede il novellato art. 323, cit. – «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».