L’indennizzo per mobbing non è reddito, anche se parametrato alla retribuzione

Agenzia delle Entrate, risposta a interpello n 185 dell’8 aprile 2022


La Società istante rappresenta di aver corrisposto, a titolo di risarcimento per demansionamento, a favore di un ex dipendente la somma di Euro 28.507,40, a seguito di una sentenza del Tribunale – Sezione Lavoro.
Sull’importo liquidato, la Società istante ha operato, prudenzialmente, la ritenuta di cui all’articolo 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ed ha provveduto al versamento della stessa entro il 16 del mese successivo all’erogazione delle somme e al rilascio della CU 2021.

In data 30 dicembre 2020, il dipendente ha notificato alla Società un atto di precetto ai sensi dell’articolo 480 c.p.c., affinché gli venisse corrisposta la somma di Euro 7.203,67, pari alla differenza tra quanto liquidato con la sentenza e quanto effettivamente ricevuto, contestando l’applicazione delle ritenute alla fonte, in quanto le somme ricevute non sarebbero assoggettabili a tassazione.

L’Agenzia ha precisato che le somme liquidate a titolo di perdita di chance professionali possono essere correttamente qualificate alla stregua di risarcimenti di danno emergente solo ove l’interessato abbia fornito – in conformità alle indicazioni della Suprema Corte – prova concreta dell’esistenza e dell’ammontare di tale danno.

Sull’argomento, di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 7 febbraio 2019, n. 3632, ha ribadito che «il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale» (cfr. Cass. n. 11322/2003).
Nella medesima ordinanza viene messo in rilievo che «il giudice del lavoro ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente (consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera) e, per la quantificazione dell’importo dovuto, ha fatto ricorso al criterio di valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito». La Suprema Corte ha ritenuto, inoltre, che «tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’art. 6 T.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito».

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