Corte di Cassazione, ordinanza n. 8038 del 11 marzo 2022
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza 26 novembre 2015, confermava la sentenza del Tribunale di Siena, nella parte in cui, in parziale accoglimento della domanda proposta da una dipendente a termine della Provincia nel periodo dall’11 dicembre 2008 al 27 gennaio 2013, in forza di tre distinti contratti― aveva dichiarato la illegittimità del termine a partire dalla proroga del secondo contratto; in riforma della
sentenza impugnata, condannava la Provincia di Siena al risarcimento del danno, nella misura di quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi.
La Provincia proponeva appello.
La Suprema Corte, accogliendo l’appello, ha stabilito che nel pubblico impiego privatizzato, la decadenza dalla impugnazione del contratto a termine, introdotta dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010, opera in virtù del generale richiamo alla disciplina privatistica contenuto negli artt. 2, comma 2, e 36 del d.lgs. n. 165 del 2001; ne consegue che, in caso di conclusione tra le stesse parti di più contratti a termine, la decadenza decorre dalla cessazione di ciascuno di essi, giacché il citato art. 32, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, àncora il termine di impugnazione alla cessazione dello specifico contratto il cui termine è in
discussione.
Dal verificarsi della decadenza deriva l’impossibilità di accertare la illegittimità del termine, anche ai soli fini risarcitori. Ciò non toglie che il giudice del merito possa accertare, ove tale aspetto sia devoluto dal lavoratore, che la successione di più contratti a termine derivi dal frazionamento artificioso di un unico contratto, in frode alla legge, in ragione della permanenza del rapporto contrattuale negli apparenti intervalli non lavorati; in tale eventualità il termine di decadenza decorrerebbe, infatti, dalla cessazione effettiva di tale unico ed ininterrotto rapporto contrattuale.