Corte di Cassazione, sentenza n 18124 del 6 giugno 2022
Con cartella di pagamento è stato chiesto a X il versamento di somme a titolo di IVA e IRAP per l’anno di imposta 2003. I giudici di merito hanno affermato che tali somme non sono dovute posto che X, socio accomandatario della fallita PVA s.a.s. (e fallito in proprio) ha ottenuto dal Tribunale un decreto di esdebitazione in data 14 aprile 2008.
Nondimeno, l’Agenzia delle Entrate, in seguito al decreto di esdebitazione, ha ritenuto di procedere, per il tramite di Equitalia, a richiedere i versamenti dei tributi, perorandone l’esclusione dall’alveo del beneficio.
La Suprema Corte ha stabilito che la sentenza resa dalla Corte di Giustizia nella causa C-493/15 evidenziava incisivamente che “l’obbligo della riscossione effettiva non può essere assoluto”, ammettendo, piuttosto, deroghe specifiche e delimitate (punto 35), e che “uno Stato membro può ragionevolmente ritenere legittima la rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate e purché lo Stato membro non crei significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d’imposta nel loro insieme e, pertanto, non pregiudichi il principio di neutralità fiscale” (punto 36)”. In effetti, benché la Corte di Giustizia non si soffermi sulla relativa ratio, l’esdebitazione risponde proprio alla rilevante esigenza, avvertita in misura crescente in ambito unionale, di consentire al debitore “In tema di fallimento, l’esdebitazione del fallito ed è applicabile anche ai debiti IVA, non contrastando la cd. “Sesta Direttiva” in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto”.