Incarichi a pensionati di direttore di un’ASL o direttore generale di un Comune o amministratore di una società pubblica: facciamo il punto della normativa

L’aggiornamento del 15/09/2022 riguarda sentenza della Corte dei Conti, Seconda Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 328 del 1 agosto 2022, in cui si è stabilito l’illegittimità della spesa per un incarico di direttore sanitario ad un medico in pensione.

L’aggiornamento del 07/10/2022 riguarda la sentenza della Corte Costituzionale del 05/10/2022

Si può conferire l’incarico di direttore generale di un’ASL a un soggetto in quiescenza? Il diritto vigente è frutto di una serie di “stratificazioni” normative, da cui non sempre emerge con chiarezza il precetto applicabile. Quindi, sperando di essere utile a chi dovrà applicare il diritto vigente al caso concreto, cercherò di illustrare le varie disposizioni che si sono succedute nel tempo e alcune pronunce della Corte dei Conti.

La prima normativa che incontriamo è del 1994 (art. 25 L. 724/1994) e concerne il divieto di attribuire per cinque anni incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca a soggetti posti in quiescenza anticipatamente. L’ambito di applicazione si estende anche agli incarichi di collaborazione, aspetto che, vedremo, sarà invece controverso negli anni successivi.

L’articolo in questione recita che “al personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che cessa volontariamente dal servizio pur non avendo il requisito previsto per il pensionamento di vecchiaia dai rispettivi ordinamenti previdenziali ma che ha tuttavia il requisito contributivo per l’ottenimento della pensione anticipata di anzianita’ previsto dai rispettivi ordinamenti, non possono essere conferiti incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca da parte dell’amministrazione di provenienza o di amministrazioni con le quali ha avuto rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio”

Quindi tale disposizione vieta all’amministrazione di provenienza di conferire incarichi ai propri dipendenti che ottengono la pensione anticipata. La disposizione in questione è ancora vigente.

Con un salto di diversi anni,  ci è utile citare anche l’art. 33 del DL 223/2006, secondo cui “I limiti di eta’ per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici risultanti anche all’applicazione dell’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, si applicano anche ai fini dell’attribuzione degli incarichi dirigenziali di cui all’articolo 19, comma 6, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001

Arriviamo quindi al 2012, con l’art. 5 co. 9 DL 95/2012  che prescrive il divieto di attribuire incarichi di consulenza a soggetti posti in quiescenza che abbiano svolto le medesime attività nell’ultimo anno di attività. Non sembrano però vietati gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. 

Il testo della norma è il seguente: “È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, …. di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell’ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza.”

La differenza con la norma del 1994 riguarda soprattutto il fatto che il divieto vige per gli incarichi a qualsiasi soggetto in pensione, non soltanto per chi è cessato anticipatamente.

Poco dopo l’art. 6 DL 90/2014 estende notevolmente il divieto in questione.

Il testo della norma è il seguente:”1. All’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le parole da « a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse » fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: « a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo. Sono comunque consentiti gli incarichi e le cariche conferiti a titolo gratuito

L’effetto dell’art. 6 è di estendere il divieto di affidare incarichi a tutti i soggetti in pensione (dipendenti pubblici e privati) e da parte di tutte le PP.AA., non solo da parte dell’amministrazione presso cui si è prestato servizio.

A poca distanza di tempo si susseguono due circolari del Dipartimento della Funzione Pubblica: la Circolare n. 6 del 4/12/2014 e la Circolare n. 4 del 10/11/2015.

Nella prima (la Circolare 6/2014) si specifica:

Ai fini dell’applicazione dei divieti, occorre prescindere dalla natura giuridica del rapporto, dovendosi invece considerare l’oggetto dell’incarico. La disciplina in esame, dunque, non esclude alcuna delle forme contrattuali contemplate dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ma impedisce di utilizzare quelle forme contrattuali per conferire incarichi aventi il contenuto proprio degli incarichi vietati.

Tra gli incarichi vietati rientrano tutti gli incarichi dirigenziali, compresi quelli di cui all’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e da disposizioni analoghe. Tra gli incarichi direttivi, tutti quelli che implicano la direzione di uffici e la gestione di risorse umane. Vi rientrano, quindi, anche incarichi in strutture tecniche, quali quelli di direttore scientifico o sanitario, che comportano le suddette mansioni. Gli incarichi di studio e consulenza sono quelli che presuppongono competenze specialistiche e rientrano nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale, di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile. (ndr: professioni intellettuali).

La Circolare n. 4/2015 ripete un invece il seguente concetto:

“Il divieto si applica a tutti i soggetti che rientrano nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 o in quello del conto economico consolidato dell’Istat: quindi anche a enti aventi forma di società o fondazione, nonché alle camere di commercio. È bene ricordare altresì che, per quanto riguarda gli incarichi dirigenziali e direttivi e le cariche in enti, l’ambito di applicazione del divieto è più ampio rispetto al novero delle amministrazioni nominanti, in quanto comprende anche enti e società controllati dalle pubbliche amministrazioni”

Ribadiscono i concetti di cui sopra plurime deliberazioni della Corte dei Conti sezioni di controllo, ed in particolare sez. Puglia deliberazione n. 193/2014 (incarichi professionali di rappresentanza e patrocinio giudiziale) e 204/2014 (incarico di comandante di polizia municipale), sez. Marche n. 181/2015 (incarico gratuito di natura dirigenziale), sez. Lombardia n. 425/2019 (ribadisce che non è possibile conferire incarichi negli organi di governo degli enti e società controllate da pubbliche amministrazioni), n. 180/2018 (ribadisce la generalità del divieto) e n. 148/2017 (idem), sez. Piemonte n. 66/2018 ( cariche in organi di governo di enti e società controllate), Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato n. 6/2015 (incarico per attività di ricerca), 27/2014 (incarico di progettazione), 28/2014 (idem), 29/2014, 30/2014, 35/2014 e 1/2015.

In sede giurisdizionale, la Corte dei Conti (Corte dei Conti, Seconda Sezione Centrale d’Appello sentenza n. 361/2019) si è pronunciata nel 2019, e ha ritenuto applicabile il divieto di conferire incarichi dirigenziali, esterni ed interni, in virtù dell’art. 33 del DL.223/2006.

Nella vicenda in questione i convenuti dovevano rispondere di avere conferito per il periodo da luglio 2011 a maggio 2013, in violazione del divieto di cui all’art. 33, comma 3, del d.l. 223/2006, l’incarico di Direttore Generale della Provincia di Foggia al Dott. M. V., già segretario Generale del medesimo ente, cessato dal servizio per raggiunti limiti di età in data 1/7/2011.

La Corte, condannando i convenuti al risarcimento del danno erariale, ha statuito che “Il d.l. 4/7/2006, n. 223 … all’art. 33, ha introdotto una innovativa disciplina dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici. Per quanto di rilievo in questa sede, al comma 3, è stato previsto che i limiti di età per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici si applicano anche ai fini dell’attribuzione degli incarichi di funzioni dirigenziali di cui all’articolo 19, del d.lgs. 165/2001.

E ancora “Nella vicenda in esame, profilo di contestazione comune a tutti gli appellanti è quello della non sussumibilità dell’incarico di direttore generale nella categoria degli incarichi di funzioni dirigenziali, presi in considerazione dalla norma limitativa di cui all’art. 33, comma 3, d.l. 223/2006. Invero, il tentativo di affermare che il direttore generale sia qualcosa di diverso dai dirigenti e, perciò, a costoro non assimilabile è macroscopicamente sterile…. In definitiva, attesa la piena riconducibilità delle funzioni esercitate dal direttore generale della Provincia a quelle dirigenziali trova piena applicazione la disposizione di cui all’art. 33, comma 3, d.l. 223/2006.

La sentenza è citata perchè trattasi dell’incarico di direttore generale, ancorchè di un ente locale e non di un’azienda sanitaria.

Nel 2019 la Corte dei Conti, stavolta come “giudice delle pensioni” (Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Liguria, sentenza n. 191/2019), ricordava un altro aspetto, cioè quello riguardante il divieto di cumulo tra pensione e retribuzione sancito dall’art. 4 lett. f) del D.P.R. n.758 del 1965.

In particolare, nella fattispecie concreta il Dott. X fino all’8 luglio 2005 medico con incarico di direzione di strutture complesse, dall’8 luglio 2005 fino al 21 giugno 2007 è stato direttore generale dell’ASL 2 Savonese, dal 22 giugno 2007 al 13 luglio 2010 direttore generale dell’ARS, dal 14 luglio 2010 al 30 giugno 2015 direttore generale del Dipartimento Salute dell’Ente Regione. In data 23 ottobre 2006 il Dott. X ha chiesto di essere collocato a riposo con decorrenza dall’1 agosto 2007.

La Corte dei Conti ha quindi ritenuto legittima la richiesta dell’INPS di restituzione delle rate di trattamento pensionistico erogate nel periodo 14 luglio 2010 – 30 giugno 2015, in cui era vigente il divieto di cumulo tra pensione e retribuzione, sancito dall’art. 4 lett. f) del D.P.R. n.758 del 1965 (in virtù di una complessa sequenza di atti normativi di abrogazione e reviviscenza. Infatti Il d.lgs. 24 febbraio 2012, n. 20 nel sopprimere il numero 552 dell’art. 2268, comma 1, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ha conseguentemente disposto, con l’art. 9, comma 1,lettera p) numero 4) la modifica dell’art. 4, e ha disposto, con l’art. 10, comma 8, lettera a, numero 2) la modifica dell’art. 4)

Nel successivo appello del 2020, però, la Corte dei Conti (Seconda Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 253/2020) rigettava la richiesta dell’INPS, stabilendo che “l’incarico svolto nel periodo dal 14.7.2010 al 2015 non incorre nel divieto di cumulo di cui all’art 4, d.P.R. n. 758/1965, con conseguente accoglimento dell’appello e condanna dell’amministrazione resistente alla restituzione degli importi trattenuti”. Le motivazioni addotte riguardavano il fatto che “lo svolgimento di attività lavorativa come dirigente medico non costituiva un presupposto necessario richiedendosi il possesso di una esperienza almeno quinquennale nella dirigenza pubblica e/o privata, ovvero ai sensi dell’ art 24 legge regionale n 59 del 4 dicembre 2009 “una valutazione delle attitudini, delle competenze, delle capacità professionali e gestionali del dirigente, nonché dell’esperienza accumulata e dei risultati conseguiti in precedenti posizioni ricoperte”, che ben avrebbero potuto essere maturate altrove

Nel 2020 vi è un altro caso (Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Basilicata, sentenza n. 36/2020) in cui un medico veniva nominato Direttore Sanitario e posto in aspettativa. Successivamente veniva posto in quiescenza, continuando l’incarico di Direttore Sanitario.

Nella sentenza la Corte, pur riconoscendo l’illegittimità dell’incarico di direttore sanitario, ha ritenuto carente la prova del danno erariale, infatti:

non solo non è contestato da alcuno la rispondenza della prestazione lavorativa in parola, ai fini perseguiti dalla p.a. nel caso di specie, ma, per i fini che rilevano nell’ambito del presente giudizio, quella stessa prestazione (sotto il profilo qualitativo e della retribuzione spettante) sarebbe stata comunque espletata (e dunque di fatto sarebbe risultata sovrapponibile a quella resa, persino con un costo inferiore da parte dell’ente) anche nel caso in cui si fosse compiuto l’iter concorsuale di cui trattasi ed altro soggetto distinto avesse ricoperto le funzioni di Direttore sanitario dell’azienda materana. Nel caso di specie, ed in conclusione, il dottor X, pur operando in una condizione di carenza di legittimazione per intervenuto pensionamento, non era manchevole degli ulteriori requisiti di competenza e professionalità, requisiti richiesti dalla legge per l’esercizio della funzione concretamente perseguita, sulla cui efficienza e congruità parte attrice nulla ha osservato

Tale giudizio, però, è stato poi ribaltato nel 2022 (Corte dei Conti, Seconda Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 328 del 1 agosto 2022), in cui la Corte ha ritenuto, in via definitiva, che “la spesa sostenuta dall’A.S.M. per retribuzioni erogate al dott. OMISSIS, che, essendo ormai in quiescenza, non possedeva i requisiti per ricoprire l’incarico a titolo oneroso [ndr: di Direttore Sanitario] è da ritenersi una spesa indebita e, pertanto, dannosa. L’illegittimità del conferimento costituisce in definitiva il presupposto di antigiuridicità da cui è viziato il comportamento del dott. X, nonché l’antecedente causale da cui discende il danno erariale subito dall’Ente

Pure il Consiglio di Stato si è pronunciato, nel 2016 e nel 2020.

Nel 2016 con la sentenza n. 4718 del 15/11/2016 il collegio ribadische la generalità del divieto:

Non si vedono ragioni per cui la norma, la cui ratio è evidentemente di favorire l’occupazione giovanile, non sia riferibile anche alla nomina a difensore civico regionale. Non ha rilievo la circostanza che i tratti di un incarico onorario, perché si tratta di distinzione non contemplata dalla legge. Del resto una tale figura è comunque caratterizzata da un rapporto di ufficio con attribuzione di funzioni pubbliche, seppure in assenza di un rapporto di lavoro: ma questo non risulta necessario presupposto degli incarichi e collaborazioni cui si riferisce l’art. 6 del d.-l. n. 90 del 2014. Anche il funzionario onorario fruisce di indennità e la sua attività non è ascrivibile nell’ambito di un rapporto a titolo gratuito, di durata peraltro superiore all’anno.

Nel 2020 Consiglio di Stato si pronuncia con il parere n. 00309/2020.

Nel caso di specie, il prof. X era stato nominato presidente dell’ISTAT in data 4 febbraio 2019 e collocato a riposo in data 1 novembre 2019. La suddetta nomina è intervenuta in un momento antecedente alla collocazione in quiescenza quando l’interessato era ancora in servizio presso l’amministrazione di provenienza. Conseguentemente l’amministrazione si poneva il dubbio se, un volta andato a riposo, sia a lui applicabile quanto stabilito dall’articolo 5, comma 9, cit. a proposito del divieto di attribuire incarichi a titolo oneroso a lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.

Il Consiglio di Stato stabiliva che 

nell’ipotesi in cui venga conferito incarico ad un soggetto ancora in servizio, per evitare elusioni, al momento della collocazione in quiescenza il rapporto debba trasformarsi in un rapporto a titolo gratuito. Ed invero, ai sensi dell’articolo 5, comma 9, terzo periodo, gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti dello stesso comma 9 sono comunque consentiti a titolo gratuito.

Occorre infine precisare la durata del rapporto a titolo gratuito dopo la collocazione in quiescenza. Il quarto periodo del più volte citato comma 9 stabilisce che «per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione». Da tale disposizione si ricava allora che detto rapporto può proseguire per la durata di un anno se rientrante nel quarto periodo – ossia se concernente gli incarichi dirigenziali e direttivi – mentre può proseguire sino alla scadenza se riguardante le altre nomine (incarichi di studio e di consulenza o cariche in organi di governo delle amministrazioni).

Nel 2021, infine, si registra un altro parere riguado alla nomina ad una “carica” di un ente controllato da una PA. Il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica (DFP-0036607-P-28/05/2021) chiarisce quanto segue:

la disciplina comprende nel divieto di remunerazione anche le cariche negli organi di governo delle amministrazioni stesse o delle società da esse controllate. Le cariche sono quelle che comportano l’esercizio di effettivi poteri di governo: ci si riferisce, senza dubbio, al ruolo di Presidente, Amministratore o Consigliere d’Amministrazione presso le stesse amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dell’elenco ISTAT e delle società da esse controllate

A seguito di confronti e sollecitazioni, si può sicuramente aggiungere la disposizione “emergenziale” (art. 2-bis, comma 5, del DL 18/2020 ), che recita: ” Fino al 31 luglio 2020, al fine  di  far  fronte  alle  esigenze straordinarie e urgenti derivanti dalla diffusione del COVID-19 e  di garantire i  livelli  essenziali  di  assistenza,  le  regioni  e  le province autonome di Trento e di Bolzano, in deroga  all’articolo  5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio  2012,  n.  95,  e  all’articolo  7 del  decreto  legislativo  30  marzo   2001,   n.   165,   verificata l’impossibilita’ di assumere personale, anche  facendo  ricorso  agli idonei  collocati  in  graduatorie  concorsuali  in  vigore,  possono conferire incarichi  di  lavoro  autonomo,  anche  di  collaborazione coordinata e continuativa, con durata non superiore  a  sei  mesi,  e comunque entro il termine  dello  stato  di  emergenza,  a  dirigenti medici,  veterinari  e  sanitari  nonche’  al  personale  del   ruolo sanitario del comparto sanita’, collocati in  quiescenza,  anche  ove non iscritti al competente  albo  professionale  in  conseguenza  del collocamento  a  riposo,  nonche’   agli   operatori   socio-sanitari collocati in quiescenza

Il D.L. 24 marzo 2022, n. 24, ha disposto con l’art. 10, comma 5-bis che “Il termine di cui al comma 5 dell’articolo 2-bis del decreto-legge 17  marzo  2020, n. 18,...in materia di conferimento di incarichi di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata  e  continuativa,  a  dirigenti  medici, veterinari e sanitari nonche’ al personale del  ruolo  sanitario  del comparto sanita’, collocati in quiescenza, anche ove non iscritti  al competente albo  professionale  in  conseguenza  del  collocamento  a riposo,  nonche’   agli   operatori   socio-sanitari   collocati   in quiescenza, e’ prorogato al 31 dicembre 2022“.

Il DL 36/2022 con l’art. 10 ha stabilito:
1. Fino al 31 dicembre 2026, le amministrazioni titolari di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, ivi incluse le regioni e gli enti locali, in deroga al divieto di attribuire incarichi retribuiti a lavoratori collocati in quiescenza ai sensi dell’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, possono conferire ai soggetti collocati in quiescenza da almeno due anni incarichi ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei limiti delle risorse finanziarie gia’ destinate per tale finalita’ nei propri bilanci, sulla base della legislazione vigente, fuori dalle ipotesi di cui all’articolo 1, commi 4, 5 e 15 del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113.

In sede di conversione l’art. 10 è stato modificato come segue, con efficacia a decorrere dal 30/06/2022
All’articolo 10:
al comma 1, le parole: «da almeno due anni» sono soppresse ed e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La facolta’ di cui al primo periodo e’ consentita anche per gli interventi previsti nel Piano nazionale per gli investimenti complementari, nei programmi di utilizzo dei Fondi per lo sviluppo e la coesione e negli altri piani di investimento finanziati con fondi nazionali o regionali».

Tali norme (quelle relative al PNRR), però, non sembrano derogare all’altro divieto di cumulo tra pensione e redditi di lavoro (oltre a quello generale per i dipendenti del settore privato, e a quello specifico per i dipendenti del pubblico impiego), quello cioè previsto dall’art. 14 comma 3 del dl 4/2019, che recita:

La pensione di cui al comma 1 [ndr.: c.d. quota 100 e 102] non e’ cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.

Tale norma recentemente ha trovato la conferma della legittimità in una pronuncia della Corte Costituzionale del 5 ottobre 2022 (non ancora depositata. Cfr https://iusmanagement.org/2022/10/06/altra-tegola-per-gli-incarichi-a-pensionati-legittimo-il-divieto-di-cumulo-con-redditi-da-lavoro/ )

Con la circolare n. 74/2020 l’INPS ha chiarito l’applicabilità di tale divieto di cumulo nel periodo dell’emergenza pandemica da COVID-19, confermandone la sussistenza

In particolare : per effetto del citato articolo 2-bis, comma 5, del decreto-legge n. 18 del 2020, nei confronti dei dirigenti medici, veterinari e sanitari, nonché al personale del ruolo sanitario del comparto sanità e agli operatori socio-sanitari collocati in quiescenza e titolari di trattamento pensionistico c.d. quota 100, ai quali a decorrere dal 30 aprile 2020 sono stati conferiti incarichi di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa, per fare fronte all’emergenza da COVID-19, non trovano applicazione le disposizioni in materia di incumulabilità tra la pensione e il reddito da lavoro autonomo.

Ai fini della cumulabilità, si fa presente che il reddito da lavoro autonomo per il quale non opera il divieto di cumulo deve riferirsi esclusivamente all’attività lavorativa prevista dal citato articolo 2-bis, comma 5, la cui durata non deve essere superiore ai sei mesi, e comunque entro il termine dello stato di emergenza.

L’INPS quindi sottolinea che il divieto di cumulo opera solamente se l’incarico è finalizzato a far fronte all’emergenza da COVID-19, mentre non sembra operare per incarichi di tipo dirigenziale non strettamente connessi all’emergenza (p.es.: incarichi di direttore sanitario, direttore generale e amministrativo, che non hanno solamente compiti strettamente legati all’emergenza COVID)

Per non vedersi sospeso  l’assegno pensionistico  gli interessati sono  inoltre tenuti a:

  1. comunicare alle Strutture territoriali competenti , attraverso gli indirizzi di posta  elettronica istituzionale o di posta elettronica certificata  di avere svolto  l’attività lavorativa in forma autonoma, anche come collaborazione coordinata e continuativa,  per emergenza da COVID-19, indicando la durata del relativo incarico.
  2. Al termine dello stato di emergenza sanitaria, gli interessati dovranno integrare la  comunicazione allegando:
  • il modello “AP139”, disponibile sul sito istituzionale al seguente indirizzo: “Prestazioni e Servizi” > “Tutti i moduli” > “Assicurato Pensionato” e compilando, in particolare, la sezione 4,  dedicata alle fattispecie reddituali cumulabili   con  l’indicazione “Emergenza COVID-19” nel campo relativo all’attività lavorativa, e
  • la documentazione attestante il conferimento dell’incarico.

Tale divieto di cumulo per coloro che sono andati in pensione anticipatamente, deve essere coordinata con un’altra norma, specifica del settore sanitario, e che fino ad oggi non sembra essere stata derogata da nessuna norma di legge, in particolare l’art. 3 comma 7 del d.lgs. 502/1992 che per i direttori sanitari e amministrativi fissa il limite d’età, al momento dell’incarico, al compimento dei 65 anni di età:

Il direttore sanitario e’ un medico  che ,  all’atto del   conferimento   dell’incarico,  non   abbia    compiuto    il sessantacinquesimo anno di eta’ .. Il direttore amministrativo e’ un laureato in  discipline  giuridiche  o economiche che, all’atto  del  conferimento  dell’incarico,  non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di eta

Inoltre per i direttori generali è previsto (art. 1 comma 4 d.lgs. 171/2016) che ai fini dell’accesso all’albo nazionale, da cui le Regioni devono necessariamente attingere, alla selezione sono ammessi i candidati che non abbiano compiuto sessantacinque anni di eta’.

Quindi, in sintesi, per il settore sanitario:

  • vi è il divieto di cumulo di pensione e redditi da lavoro per chi ha usufruito di quota 100 o 102;
  • a meno che l’incarico non sia direttamente connesso all’emergenza pandemica;
  • e comunque, al compimento del 65° anno di età, sono vietati gli incarichi di direttore sanitario, amministrativo e generale.

Vi è da osservare, in ultimo, che il divieto di cumulo di pensione e redditi di lavoro non deve essere inteso come un divieto assoluto, da parte della PA, di conferire tali incarichi, perchè il lavoratore potrebbe ben scegliere di accettare l’incarico e chiedere la decurtazione o la sospensione del trattamento pensionistico.

Per approfondire: https://iusmanagement.org/?s=incarichi+pensionati&submit=Cerca

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