La Procura regionale conveniva in giudizio 40 tra persone fisiche e giuridiche chiedendone la condanna al risarcimento del danno – in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Protezione Civile – per il complessivo importo di Euro 5.089.839,63
La pretesa azionata si fondava sull’asserita responsabilità amministrativa dolosa dei convenuti, derivante dalla creazione di un sistema teso a favorire l’indebita percezione dei contributi pubblici concessi per assicurare un ricovero ai soggetti migranti dal Nord Africa, ideato e attuato con il concorso doloso del soggetto attuatore X (nominato con ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3933 del 13 aprile 2011) e dei soggetti affidatari dei servizi di accoglienza
Il convenuto X come “soggetto attuatore” degli interventi, era autorizzato, in ambito regionale, a stipulare le convenzioni per fornire assistenza ai migranti e ai profughi, anche per il tramite di associazioni, enti e comuni, con un contributo giornaliero massimo per migrante fino a 40,00 euro (o maggiore per alcune categorie “protette”); contributo che con successive “note” del Commissario Delegato del 7.5.2011 e del 18.5.2011 veniva portato fino a 46,00 €/die e condizionato ad una serie di requisiti formali e regole procedimentali (in particolare, documentazione e dettaglio dei costi sostenuti, fornitura di prestazioni analoghe a quelle previste per i Centri di Assistenza dei Richiedenti Asilo o “CARA”, valutazione di economicità e “spedite ricerche di mercato” per la selezione dei contraenti). Ai comuni che avessero sostenuto o autorizzato spese per minori non accompagnati veniva erogato dal Ministero del Lavoro un contributo massimo fino a 80 €/die (per un massimo di 500 posti).
Secondo la Procura, in particolare, in sede di affidamento del servizio:
– erano state omesse le previste ricerche di mercato per la scelta dei soggetti affidatari e le necessarie verifiche dei requisiti che tali soggetti dovevano avere per l’affidamento del servizio (ovvero esperienza professionale nell’assistenza, disponibilità di personale, organizzazione e strutture adeguate per tipologia e capienza);
– era stata predisposta documentazione falsa per superare tali problematiche, oggetto di rilievi della Sezione di controllo della Corte dei conti;
– si erano riconosciuti in convenzione in via generalizzata ed immotivata corrispettivi maggiorati, oppure non concedibili dal soggetto attuatore ma solo dal Ministero del Lavoro o dal suo specifico delegato, nonché un corrispettivo forfettario per i posti “a disposizione” (previsti in convenzione ma non utilizzati in concreto), senza prima accertare la reale capienza della struttura);
– alcuni affidamenti erano stati concessi a Comuni che, in violazione della convenzione con il soggetto attuatore (che vietava il subappalto), non avevano fornito direttamente il servizio di assistenza ai migranti per il quale avevano ottenuto i finanziamenti, ma si erano avvalsi di privati (individuati senza ricerca di mercato e senza accertare se avessero le strutture ed i requisiti di esperienza nel settore richiesti dalle ordinanze emergenziali, requisiti di fatto mancanti), che emettevano a disposizione strutture ed emettevano le fatture poi presentate al soggetto attuatore per l’erogazione dei contributi (onde non era il Comune a fatturare).
Inoltre, in sede di esecuzione della convenzione, non erano stati effettuati controlli sulle modalità di esecuzione delle convenzioni, che avrebbero potuto legittimarne la revoca (e nell’unico caso in cui tale controllo era avvenuto non si era proceduto a revoca); era stato concesso in via di fatto il compenso massimo ottenibile senza la documentazione di spesa a sostegno; era stato concesso il compenso per “posti a disposizione” non occupati, senza controllare che tali posti, previsti in convenzione, erano in realtà inesistenti; tale compenso per posti a disposizione era stato concesso perfino quando nella convenzione non era previsto
Devono a questo punto esaminarsi le eccezioni di improponibilità dell’azione di responsabilità amministrativa per archiviazione penale dei reati contestati in relazione ai medesimi fatti oggetto del presente giudizio, proposte da vari convenuti fin dalla fase preprocessuale
Il Collegio ha deciso che, anche a volere ipotizzare un’applicazione analogico-estensiva dell’art.652 c.p.p., il decreto di archiviazione in esame non rispetta i limiti all’opponibilità del giudicato penale (in senso tecnico) in diverso giudizio, fissati da detto articolo: sia i limiti soggettivi (nella fattispecie, il decreto di archiviazione non si estende a tutti i soggetti convenuti nel presente giudizio) sia i limiti oggettivi (dato che l’art.652 c.p.p., da un lato, presuppone che il danneggiato sia stati messo in condizione di costituirsi parte civile, il che non consta nella concreta fattispecie, dall’altro non attribuisce al giudicato penale assolutorio efficacia vincolante quanto all’elemento soggettivo del reato, ma solo quanto alla sussistenza e commissione del fatto materiale ed all’esistenza di scriminanti). Pertanto, in mancanza di un giudicato opponibile, non sussiste nemmeno in astratto un “bis in idem” e l’azione di responsabilità amministrativa è perfettamente proponibile.