Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza n. 23239 del 26 luglio 2022
Ciò posto, queste Sezioni Unite si sono già espresse sul punto decisionale in esame in precedenti -del tutto analoghe- occasioni, nel senso che «La condotta del legale che omette di restituire al cliente la somma versatagli in deposito fiduciario configura un illecito permanente, in relazione al quale il momento in cui cessa la permanenza coincide con quello dell’indebita appropriazione e cioè con il momento in cui il professionista, sollecitato alla restituzione, nega il diritto del cliente sulla somma affermando il proprio diritto di trattenerla, a cui è equiparabile la negazione di averla ricevuta, sicché è da tale momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione dell’illecito, in applicazione analogica dell’art. 158 c.p.» (Cass. n. 14233 del 2020); «l’avvocato che si appropri dell’importo dell’assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell’esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza» (Cass. Sez. U. 21 febbraio 2019, n. 5200); «l’avvocato che prometta al proprio assistito la consegna delle somme riscosse per suo conto senza provvedervi immediatamente contravviene all’art. 44, ultimo comma, del codice deontologico forense vigente ratione temporis, ponendo in essere una condotta connotata dalla ridetta continuità della violazione deontologica» (Cass. Sez. U. 30 giugno 2016, n. 13379).
Tuttavia -in difetto della restituzione della somma decettivamente acquisita- vi è da individuare un “limite alternativo” alla “permanenza” dell’illecito disciplinare in esame ossia un momento dal quale il termine prescrizionale inizia a decorrere, giacchè altrimenti ne deriverebbe una -irragionevole, non prevista dalla legge- imprescrittibilità dell’illecito stesso. In analogia alla consolidata giurisprudenza penale di legittimità (ex pluribus, Cass. pen, n. 32220 del 2015) e come peraltro già affermato da queste Sezioni Unite civili (cfr. Sez. U, 5200/2019, cit.), tale dies a quo deve essere individuato nella decisione disciplinare di primo grado (Consiglio Distrettuale di Disciplina, 11 maggio 2018) ed è dunque evidente che tuttora non è spirato il termine prescrizionale massimo previsto dall’art. 56, comma 3, legge 247/2012.