TAR Lombardia, 1397 del 16 giugno 2022
Il Collegio dubita della compatibilità dell’articolo 4, comma 5, decreto legge 1 aprile 2021 n. 44, con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, anche in riferimento alla violazione dell’articolo 2 della Costituzione.
Come già accennato, esiste nel nostro ordinamento un principio generale, ricavabile dal patto di solidarietà sociale che è posto alla base della civile convivenza, per cui la dignità di ciascun individuo deve essere preservata assicurandogli i mezzi necessari per vivere (Corte costituzionale, 20 luglio 2021 n. 137, in tema di revoca delle prestazioni assistenziali in favore di condannati per gravi reati; 20 luglio 2020 n. 152, in tema di incremento delle pensioni di invalidità; 21 giugno 2021 n. 126, in tema di reddito di cittadinanza), il quale sembra non essere stato rispettato dall’articolo 4, comma 5, del decreto legge 1 aprile 2021 n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021 n. 76 e successive modificazioni.
Tale principio basilare si ricollega direttamente alla tutela della dignità dell’individuo, a prescindere dalla causa della condizione di indigenza e dell’imputabilità della stessa ad un suo comportamento, lecito od illecito che sia.
In materia di diritti fondamentali non sono infatti tollerabili automatismi di sorta, per cui la privazione automatica ed assoluta di ogni forma di sostegno economico per l’intera durata del periodo di sospensione dal servizio, senza possibilità di prevedere adeguate misure di sostegno economico, sembra al Collegio irragionevole e sproporzionata anche in riferimento al principio di tutela della dignità dell’individuo, di cui all’articolo 2 della Costituzione.
Tale automatismo si rivela ancor più irragionevole nel caso del dipendente sospeso dal servizio che versi in condizioni di indigenza e che, come la ricorrente, è impossibilitato a procurarsi altrimenti il reddito necessario per attendere alle ordinarie esigenze di vita, per via della conservazione dello status di dipendente pubblico e della conservazione del posto di lavoro, previste quali effetti dell’atto di accertamento, ancorché favorevoli per il lavoratore.
In conclusione, il Collegio ritiene rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 5, del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021 n. 76, per come sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge 26 novembre 2021 n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022 n. 3, e successive modificazioni, nella parte in cui dispone che << Per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato>>, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’articolo 3 della Costituzione, anche in riferimento alla violazione dell’articolo 2 della Costituzione.
Ai sensi dell’articolo 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953 n. 87, deve essere pertanto disposta l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimità costituzionale sollevata con la presente ordinanza