Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna, sentenza n. 141 del 12 agosto 2022
L’azione della Procura trae origine dalla segnalazione con la quale si è evidenziato inter alia il dato per cui Z, assunto dall’Unione dei Comuni come lavoratore interinale, pur essendo privo del titolo di laurea, sarebbe stato inquadrato per anni nella qualifica D3, percependo circa € 60.000,00 annui.
Il vaglio della responsabilità amministrativa del dott. X, Dirigente dell’Ufficio Unico del Personale (che aveva sottoscritto tanto la determinazione n. 247/2015 quanto le determinazioni successive), postula il previo inquadramento del contratto di somministrazione nel comparto pubblico
Un primo limite si rinviene nell’espressione “a tempo determinato”, evidentemente ostativa alla formula negoziale a tempo indeterminato, incompatibile – per scelta inequivoca del legislatore – con la tipologia contrattuale in discorso nella sua applicazione al pubblico impiego.
Un secondo limite si ravvisa nel divieto di impiegare lo strumento in relazione alle figure dirigenziali e direttive.
Alle condizioni espressamente previste dall’ordito positivo si devono aggiungere i limiti desumibili dall’Ordinamento.
Ad onta delle chiare coordinate contenute nel contratto stipulato con l’Agenzia interinale e nelle Determinazioni, il convenuto ha consentito che venisse assunto un soggetto privo dei requisiti imposti dalla categoria D3; cosa che ha fatto sì che l’Amministrazione corrispondesse emolumenti per prestazioni, quelle di un lavoratore della categoria di D3, che non sono state rese nei termini individuati dalle Determine dell’Unione.
È, del resto, consolidato l’indirizzo giurisprudenziale per cui, essendo la retribuzione parametrata al possesso di determinati standards qualitativi, nella fattispecie comprovati dalla laurea, il difetto di quest’ultima recide il nesso sinallagmatico che avvince le prestazioni, privando di causa gli importi correlati alla specifica categoria di riferimento (nel caso che ne occupa, D3; cfr., Sez. I App., sent. n. 228/2021, citata dalla stessa parte convenuta in comparsa: “[…] basti rilevare che l’attribuzione di un incarico dirigenziale a un soggetto privo di laurea determina un sicuro danno in conseguenza della violazione del sinallagma contrattuale legislativamente prefigurato, atteso che alla retribuzione percepita non corrisponde per tabulas una prestazione qualitativamente corrispondente alla professionalità richiesta”).
Certa è, pertanto, l’esistenza di un danno erariale di ammontare pari alla differenza tra la retribuzione correlata alla categoria D3 e quella corrispondente alla diversa categoria C1, cui afferiscono le prestazioni concretamente poste in essere dal convenuto (ciò anche in accoglimento dell’eccezione di compensatio lucri cum damno articolata dalla medesima parte in comparsa; per analoga impostazione, si veda ancora la sopracitata sentenza n. 228/2021 della Sez. I App.: “In relazione alla quantificazione del danno, correttamente la Procura e il Giudice di prime cure lo hanno parametrato al valore differenziale tra la retribuzione effettivamente percepita dal omissis in dipendenza dell’incarico dirigenziale e quella che gli sarebbe spettata nel caso in cui il medesimo avesse ricevuto il riconoscimento di una posizione organizzativa quale funzionario di cat. D, in base alle disposizioni contrattuali applicabili; il conferimento della posizione organizzativa avrebbe, infatti, consentito al predetto di svolgere l’attività di apicale del servizio con una retribuzione complessiva inferiore, parametrata ad un livello professionale quale quello in concreto posseduto, privo cioè dei titoli culturali indispensabili per il conferimento della qualifica di dirigente”).
È quindi ferma la riconducibilità del danno alla condotta del dott. X: il medesimo ha infatti consentito l’impiego di persona sprovvista dei requisiti richiesti dalla categoria espressamente individuata nel Capitolato e nelle Determinazioni.