Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, sentenza n. 248 del 29 agosto 2022
L’articolo 180, comma 3, del decreto-legge n. 34 del 2020 (invocato dal convenuto), ha al riguardo introdotto un comma 1-ter all’articolo 4 citato. La novella ha previsto che “Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno (…) con diritto di rivalsa sui soggetti passivi”. La giurisprudenza penalistica successiva (Corte di cassazione, sezione VI penale, 17 dicembre 2020, n. 36317) ha al riguardo evidenziato che tale innovazione comporterebbe il venir meno dell’indirizzo consolidato (Corte di cassazione, sezione VI penale, 25 ottobre 2017, n. 53467, e 17 maggio 2018, n. 32058) che aveva, per le ragioni già evidenziate, sostenuto che l’appropriazione da parte del gestore (come rilevato, incaricato di pubblico servizio) delle somme percepite quale imposta di soggiorno, configurerebbe il reato di peculato (articolo 314 del codice penale). La circostanza che analogo effetto abolitorio presenti la disposizione in ordine alla responsabilità contabile è, tuttavia, questione controversa nella giurisprudenza contabile.
Per la tesi secondo cui l’individuazione della struttura alberghiera come “responsabile di imposta” avrebbe determinato la trasmigrazione delle relative controversie si è schierata la Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia (pronunce 12 febbraio 2021 n. 38, in obiter dictum, e 17 gennaio 2022, n. 6). Per la tesi opposta, invece, sono registrabili le pronunce della Sezione giurisdizionale per l’Emilia – Romagna (14 ottobre 2021, n. 325), e per la Liguria (10 gennaio 2022, n. 1).
In relazione all’applicabilità nel caso di specie va sottolineato il successivo articolo 1 – quinquies del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215.
Tale previsione ha introdotto una disposizione di “interpretazione autentica” del comma 1-ter, secondo cui esso “si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020”, che spiegherebbe effetti retroattivi in punto di giurisdizione, secondo la prospettazione della parte convenuta.
Al riguardo, il collegio ritiene tuttavia di aderire al secondo indirizzo, tra quelli citati, vale a dire l’orientamento secondo cui la qualificazione della struttura alberghiera come responsabile d’imposta non determina ex se il venir meno della giurisdizione contabile per le seguenti ragioni:
i. la mancata coincidenza dell’abolitio criminis penalistica rispetto a quella giuscontabile: infatti, secondo i citati orientamenti nomofilattici, la fattispecie del peculato non sarebbe configurabile per il difetto sopraggiunto (oggettivo) del carattere pubblicistico delle risorse;
ii. l’attribuzione alla struttura alberghiera della qualificazione di responsabile di imposta.
Tale circostanza, secondo la giurisprudenza contabile assolutamente consolidata, comporta l’assoggettamento alla giurisdizione contabile, atteso che lo stesso responsabile è parte, ma non originaria dell’obbligazione tributaria; di conseguenza le somme di denaro percepite dai soggetti passivi primari hanno carattere pubblicistico (così, quanto al notaio che riceva le imposte di registro, catastali e ipotecarie, Sezione I centrale appello, 23 ottobre 2018, n. 410).
iii. la permanenza, in capo alla struttura alberghiera, di una serie di obblighi strumentali e propedeutici alla riscossione dell’imposta di soggiorno che, indipendentemente dalla giurisprudenza pregressa, ben configurano un rapporto di servizio con l’amministrazione percettrice;
iv. l’eventuale incostituzionalità della norma “di interpretazione autentica”, se intesa nel senso descritto, in quanto le norme (anche se non penali) retroattive incontrano limitazioni estremamente rigide nel tessuto costituzionale, a sua volta integrato, per il tramite dell’articolo 117, comma 1, della Costituzione, dai principi della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Al riguardo, è stato precisato (Corte costituzionale, 29 maggio 2013, n. 103) che “La norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto»
In ogni caso, la Sezione (sentenza 19 aprile 2022, n. 85 e n. 86) già ha avuto modo di precisare che l’eventuale caducazione della responsabilità contabile, e dell’azionabilità tramite il giudizio di conto del relativo debito, non assume rilievo in relazione alla ordinaria responsabilità erariale (e, nel caso di specie, il giudizio in esame è stato incardinato nelle ordinarie forme dell’azione di responsabilità).
Anche la giurisprudenza di appello della Corte dei conti è addivenuta a tale conclusione (Sezione II centrale di Appello, 24 giugno 2022, n. 275).
In conclusione, il collegio ritiene che nel caso di specie continui a sussistere la giurisdizione contabile.