Corte di Cassazione, sentenza n 25887 del 2 settembre 2022
La Corte da tempo ha stabilito che il “danno risarcibile” non è costituito dalla lesione d’un diritto: questa è solo il necessario presupposto per l’esistenza del danno, il quale dovrà comunque manifestarsi con una perdita: patrimoniale o di altro tipo, ma pur sempre una “perdita” concreta, inteso tale lemma nella sua più ampia accezione (Cass. Sez. 3:, Sentenza n. 4991 del 29/05/1996, nella cui motivazione si afferma che per il danno biologico “non vale la regola che, verificatosi l’evento, vi sia senz’altro un danno da risarcire. Il risarcimento del danno vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all’ individuo nel modo preesistente al fatto dannoso”: il principio è rimasto fermo nella giurisprudenza di questa Corte, sino alla già ricordata Cass. 7513/08, cit.). La stessa definizione legislativa di danno biologico esclude ipso facto la risarcibilità del (solo) evento di danno, consentendola, viceversa, a condizione che la lesione della salute abbia esplicato “un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato” (art. 138 C.d.A., come riformato dalla legge 124/2017). Ne consegue che, sotto il profilo dinamico-relazionale, nessun danno risarcibile poteva e doveva ritenersi predicabile nell’an e risarcibile nel quantum da parte della Corte territoriale, che avrebbe potuto e dovuto, viceversa, considerare il solo, eventuale – ed autonomo – aspetto della sofferenza morale, conseguente, sul piano delle presunzioni semplici, all’apprendimento della notizia dell’infezione da parte dell’odierno ricorrente incidentale – oltre che considerare, se provate ex actis, le eventuali incidenze negative prodottesi nella vita nel X all’indomani della diagnosi ricevuta nel 1999). Va altresì sottolineato come i principi appena esposti non si pongono in contrasta con l’affermazione, pure ripetutamente compiuta da questa Corte, secondo cui per “danno biologico permanente” deve intendersi non solo la lesione permanente o temporanea dell’integrità psicofisica, ma anche “l’aumentato rischio di contrarre malattie in futuro, ovvero l’aumentato rischio di morte ante tempus” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26118 del 27/09/2021, Rv. 662498- 02).