Non paga il canone RAI nel 2010, e nel 2018 gli ritirano la licenza dei tabacchi. Il Consiglio di Stato annulla richiamando il dovere di correttezza

Consiglio di Stato, sentenza n. 7507 del 29 agosto 2022

Occorre premettere che la società -OMISSIS- ha presentato nel luglio del 2018 una domanda diretta ad ottenere il rinnovo del patentino per la rivendita di generi di monopolio.

Conformemente alle disposizioni del predetto decreto ministeriale, la società in questione ha allegato alla domanda una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attestante la mancanza di pendenze fiscali con l’Erario e/o con l’agente della riscossione.

In sede di verifica delle dichiarazioni rese, l’Amministrazione ha accertato l’iscrizione a ruolo, a carico della società in questione, di un importo di euro 238,74, per il mancato pagamento del canone Rai per l’anno 2010, la cui cartella esattoriale è stata notificata in data 22 luglio 2016. In sede procedimentale, la società ha provveduto alla estinzione del debito erariale.

Con provvedimento del 10 ottobre 2018 n.-OMISSIS-l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha respinto l’istanza di rinnovo del patentino, intimando la restituzione dello stesso.

Tanto premesso, è vero che la giurisprudenza amministrativa in materia di dichiarazioni sostitutive di atto notorio non veritiere è molto rigorosa, prescindendo da ogni valutazione dell’elemento soggettivo del dichiarante.

Tuttavia, nel caso di specie, le conclusioni invocate dalla Amministrazione appaiono eccessive e sproporzionate rispetto alla fattispecie concreta.

In considerazione della esiguità del debito erariale e del suo carattere risalente nel tempo, non appare verosimile che il titolare della società abbia voluto rendere una dichiarazione non veritiera per accedere a benefici indebiti; la non veridicità della dichiarazione deve essere derubricata a mera irregolarità, tempestivamente sanata dal dichiarante, con l’estinzione del debito.

Il provvedimento di diniego di rinnovo del patentino, adottato dalla Amministrazione, non appare coerente con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità e, conseguentemente, deve essere annullato.

Il dovere di correttezza e buona fede, alla cui osservanza deve conformarsi anche l’operato della pubblica amministrazione, costituisce manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, che rinviene il proprio fondamento nell’art. 2 della Costituzione e grava reciprocamente su tutti i membri della collettività, intensificandosi a seguito della instaurazione di momenti relazionali giuridicamente qualificati, dovendosi riconoscere l’esistenza di una proporzionalità diretta tra l’ambito e i contenuti dei doveri di correttezza, lealtà e buona fede ed il grado di intensità del momento relazionale e del conseguente affidamento da questo ingenerato (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 4 maggio 2018 n. 5).

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