Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 219 del 1 settembre 2022
Il Collegio ritiene che, per costante giurisprudenza, non si possa configurare un “vantaggio” apprezzabile ai fini delle norme citate, in presenza di limitazioni normative alla discrezionalità amministrativa, in quanto l’agire in contrasto con esse finisce per tradursi in una violazione dell’interesse pubblico sancito dal legislatore. In altri termini, le norme di legge che impongono, non generiche regole procedimentali o sostanziali della spesa pubblica, bensì limiti (divieti) riferiti a specifiche ipotesi e tipologie di spesa (nella fattispecie, le norme che vietano di avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza o che, più in generale, pongono limiti al conferimento di incarichi esterni) presuppongono iuris et de iure che quella tipologia di spese sia disutile per la pubblica amministrazione, ovvero hanno una ratio legis che le pone come norme speciali e derogatorie rispetto alle generali regole secondo cui le utilità arrecate ad una pubblica amministrazione o alla comunità amministrata possono essere considerate un vantaggio o un lucro da portare in detrazione al danno (art. 1227 cod. civ., art. 1 comma 1-bis L.20/1994).
In ogni caso, anche ipotizzando che – sotto il profilo civilistico – rimarrebbe inalterato il diritto alla retribuzione o al compenso per la prestazione resa in base a contratto nullo, ex art. 2126 c.c. e 36 Cost.- tuttavia sotto il profilo amministrativo non verrebbe meno l’esistenza di un danno all’amministrazione derivato dalla stipula di quel contratto, imputabile a condotta degli amministratori, qualora si accertasse che l’incarico fosse vietato per violazione di divieti assunzionali o il contraente fosse stato assunto in mancanza dei requisiti di legge (cfr. Sez. Giu. Calabria sent. n° 120/22).
Inoltre, qualora lo specifico contesto normativo di riferimento imponga stringenti vincoli, inequivocabilmente preordinati a preservare il pubblico erario dall’abuso di strumenti operativi (altrimenti impiegabili secondo le comuni regole), eventuali violazioni di prescrizioni procedurali vertenti su profili nevralgici della disciplina, finiscono per integrare, per ciò solo, un nocumento per il patrimonio dell’Amministrazione. Il rispetto delle limitazioni di carattere modale al conferimento di incarichi a soggetti esterni è presupposto di legittimità della spesa sostenuta per la remunerazione dei medesimi: le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questo, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.
Tale ricostruzione, è in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo grado (tra le tante, Sez. Giur. Sicilia Sent. 7.1.2008, n. 185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.2.2007, n. 50; Sez. Giur. Sicilia Sent. 21.9.2007, n. 2492), che in grado di appello (ex pluribus: Sez. I App Sent. 28.5.2008, n. 237; Sez. App. III Sent. 5.4.2006, n. 173; Sez. App. II Sent. 20.3.2006, n. 122; Sez. App. II Sent. 16.2. 2006, n. 107; Sez. App. III Sent. 6.2.2006, n. 74).
Pertanto, quando, come nel caso in esame, “il legislatore pone agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno»” (Sez. App. Corte conti Sicilia, n. 38/2018).