Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 66 del 13 maggio 2022
L’avv. [RICORRENTE] veniva sottoposto a procedimento disciplinare per rispondere delle condotte a lui contestate nel seguente capo di incolpazione: “a) perché, quale legale del Sig. [AAA], violando i generali doveri di lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, il rapporto di fiducia, chiedeva, ottenendola la corresponsione di compensi, per il complessivo importo di €.20.000,00 circa, sproporzionati rispetto all’attività professionale svolta (recupero di crediti per 80.000 euro) e senza relazionare le singole voci di compensi e spese alle prestazioni professionali effettivamente rese, peraltro non documentate.
Diversamente da quanto ritenuto dal C.D.D. di Napoli, agli atti del procedimento disciplinare vi è prova, invero, della circostanza che i sig.ri [AAA] e l’incolpato abbiano concordato la possibilità che il secondo trattenesse, dalle somme ricevute in ragione del mandato, la somma di €.20.000,00 a titolo di competenze professionali per l’attività svolta nel loro interesse. Come rilevato dal ricorrente, infatti, è presente agli atti del procedimento una dichiarazione datata 23.01.2009 con la quale il sig. [BBB], da un lato, autorizzava l’avv. [RICORRENTE] “a consegnare l’importo di €60.000,00” al figlio, [AAA], e, dall’altro lato, dichiarava “di non avere altro a pretendere dall’Avv. [RICORRENTE] a qualsiasi titolo e rilascio ampia liberatoria” (doc. allegato sub. 6 alla querela presentata dal sig. [AAA])
Ciononostante, si ritiene che, a prescindere dall’accordo intervenuto con i sig.ri [AAA], la determinazione in tal misura del compenso professionale debba ritenersi sproporzionata rispetto all’attività difensiva effettivamente svolta dall’avv. [RICORRENTE]. Dagli atti del procedimento disciplinare si evince infatti come quest’ultimo, da un lato, abbia provveduto a recuperare, in via stragiudiziale, dei crediti vantati dalla società amministrata dal sig. [BBB], per la complessiva somma di €.81.424,91, e, dall’altro lato, abbia provveduto a depositare, nell’interesse del sig. [AAA], un’istanza di concordato fallimentare non sorretta da alcuna garanzia e, pertanto, destinata ab origine ad essere dichiarata improcedibile dal Giudice Delegato (come, d’altronde, avvenuto, proprio perché “priva dell’indicazione di qualsivoglia garanzia offerta per il suo adempimento”).
Deve pertanto ritenersi provato che l’incolpato abbia posto in essere una condotta deontologicamente rilevante giacché, come già ritenuto dal CNF in precedenti pronunce, “L’avvocato che chieda compensi eccessivi e anche sproporzionati rispetto alla natura e alla quantità delle prestazioni svolte pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e probità a cui ciascun professionista è tenuto”, con l’ulteriore precisazione che “Il divieto di richiedere compensi manifestamente sproporzionati prescinde dal fatto che il cliente accetti di provvedere al relativo pagamento” (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 146 del 6 dicembre 2019).