In questi giorni si discute molto sui social dell’iniziativa degli “attivisti” di MonitoraPA, che hanno inviato a 8254 scuole una richiesta ai sensi del c.d. FOIA italiano, cioè azionando il diritto di accesso civico previsto dagli artt. 5 e 5-bis del d.lgs. 33/2013.
Con tale richiesta si chiede:
- copia del contratto o altro atto giuridico in forza del quale ha utilizzato ed utilizzerà i servizi di posta elettronica, messaggistica, videoconferenza, didattica a distanza, didattica digitale integrata, registro elettronico, relativamente agli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022, 2022/2023;
- copia della valutazione d’impatto della protezione dei dati (DPIA) effettuata nell’ambito dell’utilizzo di un servizio on line di videoconferenza o di una piattaforma che consenta il monitoraggio sistematico degli utenti, negli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022;
- copia degli atti riportanti le misure tecniche previste ed adottate per attivare i soli servizi strettamente necessari alla formazione, nel caso di utilizzo di piattaforme più complesse che eroghino servizi più complessi anche non rivolti esclusivamente alla didattica, negli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022, 2022/2023;
- copia della valutazione d’impatto della protezione dei dati (DPIA) ai sensi dell’art. 35 del GDPR, effettuata nell’ambito dell’utilizzo delle piattaforme di posta elettronica, messaggistica, videoconferenza, didattica a distanza, didattica digitale integrata, registro elettronico, adottate nell’anno scolastico 2022/2023;
- copia della valutazione di impatto del trasferimento dei dati all’estero (TIA), afferente all’eventuale trattamento dei dati in paesi terzi (ovvero che si trovino al di fuori dell’Unione Europea) necessario per la fruizione ed il funzionamento dei servizi di posta elettronica, messaggistica, videoconferenza, didattica a distanza, didattica digitale integrata, registro elettronico, adottati nell’anno scolastico 2022/2023;
- copia della valutazione comparativa ai sensi dell’art. 68 del d. lgs. 7/3/2005 n. 82 realizzata per provvedere all’acquisizione delle piattaforme di posta elettronica, messaggistica, videoconferenza, didattica a distanza, didattica digitale integrata, registro elettronico, adottate nell’anno scolastico 2022/2023.
Come rispondere? La richiesta è legittima?
La richiesta, purtroppo, ha diversi punti di debolezza da un punto di vista giuridico, che illustro di seguito.
1) La richiesta appare meramente emulativa.
Nel nostro ordinamento vige il principio di divieto di atti emulativi, di cui troviamo un’esplicitazione in riferimento al diritto di proprietà all’art. 833 c.c.: “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri“. Quindi si può definire atto emulativo quell’atto che, seppur nell’ambito dell’esercizio di un diritto riconosciuto dall’ordinamento, abbia come unico scopo quello di nuocere o recare molestia ad altri, senza nessuna utilità per l’esercente il diritto.
Tale articolo si può elevare a principio generale dell’ordinamento giuridico, e, infatti, è stato sancito dalla giurisprudenza anche in riferimento al diritto di accesso civico :” Deve essere accolto il motivo di appello nella parte in cui -OMISSIS- denunzia l’erroneità della sentenza per non avere riconosciuto l’istanza di accesso massiva ed eccessivamente sproporzionata.
Una tale richiesta, così sproporzionata e onerosa, è espressamente qualificata come inammissibile dall’Adunanza plenaria n. 10/2020: “36.6. Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate ….o richieste massive plurime, … richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi”. (cfr https://iusmanagement.org/2022/01/28/listanza-di-accesso-civico-massiva-e-sproporzionata-e-inammissibile/)
Perchè l’istanza di MonitoraPA sarebbe emulativa? Perchè è evidente la mancanza di utilità che il soggetto istante ne può ricavare. Infatti, anche ipotizzando solo un’ora di lavoro per la ricezione e l’esame dei documenti di ogni scuola, solo per valutare le risposte di 8.254 scuole, servirebbe 8.254 ore lavorative, che sono circa un anno di lavoro di 5 persone full-time, oppure 6 mesi di lavoro per 10 persone, oppure un mese di lavoro per 60 persone, ovviamente tutte esperte di diritti digitali e appalti! E’ quindi evidente che nemmeno il più grande e attrezzato studio legale esperto di privacy e diritti digitali potrebbe sopportare un tale carico di lavoro. Di conseguenza, le risposte delle scuole saranno assolutamente inutili. A ciò si aggiunga che, sebbene si parli di MonitoraPA come un collettivo (un movimento, un comitato, ecc…), l’istanza è stata avanzata da un cittadino uti singulus, che, quindi, solo per esaminare le risposte dovrebbe impiegherebbe 5 anni di lavoro full-time!
Da questa mancanza di utilità per l’istante, discende quindi il mero carattere emulativo dell’istanza.
…ma entriamo nel merito.
2) Riguardo ai documenti richiesti, è molto facile per ogni scuola rispondere nel modo seguente.
Riguardo alla valutazione d’impatto della protezione dei dati (DPIA) e del trasferimento dei dati all’estero (TIA), la stessa istanza ammette che tali documenti non sono stati ritenuti necessari dal Garante per il periodo della pandemia (Garante per la protezione dei dati personali nel Provvedimento del 26
marzo 2020 – “Didattica a distanza: prime indicazioni”).
Inoltre l’elaborazione di tali documenti è esclusa dall’ordinamento in taluni casi, che ben potrebbero essere invocati dalle scuole.
Riguardo alla “copia del contratto o altro atto giuridico”, non vi è nessuna difficoltà per la maggioranza delle scuole, abituate ormai ad adempiere alla forma scritta e ai numerosi oneri in materia di contratti pubblici. Peraltro tale documentazione potrebbe già essere disponibile nella sezione “Amministrazione trasparente” della Scuola o, addirittura, nella banda dati dei contratti pubblici di ANAC, rendendo così facile per l’amministrazione indicare solamente il link di riferimento.
Anche per la “valutazione comparativa” a cui le pubbliche amministrazioni sono tenute prima di acquisire software, dando preferenza alle soluzioni in software libero, non vi dovrebbero essere problemi. Innanzitutto perchè non esiste nel catalogo del riuso del software un applicativo di videoconferenza per la didattica. Riguardo ad altre soluzioni, è molto facile argomentare che configurare dei server e installare e mantenere degli applicativi open-source, comunque implica delle competenze che spesso le scuole non hanno. Inoltre tale valutazione comparativa, in modo più o meno sintetico, è sempre effettuata da ogni PA al momento di effettuare l’acquisto di un servizio. Sicuramente non sarà fatta secondo le “Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni” adottate da AgID, ma questo ci rimanda al terzo punto.
3) E se i documenti fossero carenti o parzialmente sufficienti?
Questo punto evidenzia il limite dell’istanza presentata. I rimedi che l’ordinamento giuridico prevede sono due: l’istanza di riesame al Responsabile della Prevenzione della Corruzione (RPCT) dell’amministrazione, e/o il ricorso al TAR.
Per quanto concerne l’istanza di riesame, sarebbe molto semplice per il RPCT semplicemente confermare il provvedimento emesso. Peraltro, normalmente, prima che l’amministrazione risponda ad un’istanza di accesso civico, viene coinvolto il RPCT, che è un dipendente dell’amministrazione stessa, proprio per elaborare una risposta senza timore di smentita.
Il secondo rimedio sarebbe il ricorso al TAR. Qui l’impossibilità diventa assoluta.
Per i ricorsi in materia di diritto di accesso, il contributo unificato (cioè il tributo che si paga solo per presentare il ricorso) è di 300 euro; lascio a voi la moltiplicazione anche solo per 1.000 ricorsi. Ciò ipotizzando che un legale accetti di lavorare un anno o più gratis. Se invece dobbiamo pensare pure al compenso per l’avvocato, possiamo aggiungere almeno 1.000-1.500 euro per ogni ricorso, per un totale di euro 1.800.000 per presentare solo 1.000 ricorsi.
Da quanto sopra illustrato, è evidente che il primo “FOIA massivo italiano” si risolverà in una mera azione dimostrativa senza nessuna utilità per l’istante e/o per il cittadino, e con un aggravio di lavoro per le PP.AA. chiamate a rispondere, il che significa un aggravio di costi a carico della comunità.