Un medico percepisce 2.300 euro in 4 anni in base ad una convenzione di libera professione scaduta: condannato a risarcire 32.000 euro.

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, sentenza n. 64 del 23 marzo 2022

L’attività professionale non autorizzata è stata svolta dal medico dal 1.2.2014 al 3.5.2018 presso un Poliambulatorio privato successivamente alla scadenza della convenzione che in precedenza l’ULSS X aveva stipulato ex DPCM 27 marzo 2000 con la predetta struttura e nella vigenza della quale lo stesso convenuto aveva prestato legittimamente la propria attività libero professionale nel medesimo Poliambulatorio.

Secondo la Procura regionale il convenuto aveva violato il divieto di eseguire delle prestazioni senza autorizzazione, pur continuando egli a prestare servizio presso l’ASSL in regime di esclusività, ha svolto attività di libera professione anche presso la struttura in questione. L’indennità di esclusività che gli è stata corrisposta nel periodo considerato dall’Azienda Sanitaria di appartenenza, per un importo pari ad euro 32.409,91, costituisce quindi danno erariale, perché erogata in carenza del presupposto normativo.

La difesa ha eccepito la mancata diligenza proprio dell’Azienda Sanitaria, su cui incombeva l’obbligo di avvertire i Dirigenti Medici del termine di efficacia della Convenzione, considerato che l’onere di informazione era espressamente previsto da quest’ultima in capo al direttore dell’U.O. di riferimento dei medici che vi avevano aderito e ciò anche in relazione alle modalità di pagamento, il cui cambiamento non può quindi integrare, di per sé, una valida prova (nella sfera conoscitiva del convenuto) del fatto che la Convenzione fosse scaduta. Rappresenta, inoltre, la difesa che manca anche l’esistenza di un danno concreto subito dall’erario, trattandosi di attività svolte in modo sporadico, 28 visite in un quadriennio, svolte tutte al di fuori dell’orario di lavoro: il convenuto, quindi non ha deviato le proprie energie lavorative a favore del privato; non ha danneggiato, pertanto, l’Azienda Sanitaria (a salvaguardia della cui efficienza è posta la ratio del rapporto di esclusiva), né può sostenersi che egli abbia avviato un’attività parallela in forma privata dato l’esiguo importo dei compensi pari, in quattro anni, a soli € 2.375,80, somma peraltro integralmente corrisposta all’Azienda nel rispetto del comma 7 bis dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001.

 Il Collegio,condannando il convenuto, accogliendo le richieste della Procura che ha determinato la misura del danno negli emolumenti liquidati al convenuto nel periodo considerato (1.2.2014/13.5.2018) a titolo di indennità di esclusività, pari ad euro 32.409,81.

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