Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1709 del 19 ottobre 2022
Si è affermato che, nell’ambito della l. n. 445 del 2000, in cui la “dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto, perde rilevanza l’elemento soggettivo, ovvero il dolo o la colpa del dichiarante, e, in conseguenza, non rileverebbero le doglianze del dichiarante in ordine alla mancanza di colpevolezza nell’omettere di dichiarare il precedente penale.
La comminatoria di decadenza è la naturale conseguenza dell’inidoneità della dichiarazione non veritiera a raggiungere l’effetto cui era preordinata e la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità (Cons. Stato, Sez. V, 03/02/2016, n.404, 24 luglio 2014 n. 3934).
Tuttavia, questione diversa è quella della individuazione del “beneficio” o dei “benefici” rispetto ai quali opera la decadenza.
Come ben precisa la sentenza della Sez. V del Consiglio di Stato 09/04/2013, n. 1933, “il beneficio o i benefici rispetto al quale opera la sanzione della decadenza di cui all’art. 75 sono solo quelli immediatamente perseguiti con la dichiarazione non veritiera e non già quelli indirettamente ricollegabili al mendacio”.
La questione va risolta in base alla disciplina sostanziale di settore (ad esempio in materia di contratti pubblici, la sanzione dell’esclusione dalla gara, conseguente alla dichiarazione falsa o non veritiera del partecipante è prevista dalla legge in materia di contratti pubblici, e non è effetto dell’art. 75, l. n. 445 del 2000).
Deve rilevarsi che, nella disciplina dettata dall’art. 9, comma 1, lett. f) legge n. 91/92, la dichiarazione del richiedente riguardante i precedenti penali non comporta per espressa previsione del legislatore l’acquisizione del beneficio (cosicchè l’autocertificazione non veritiera ne determinerebbe, ex art. 75 d.P.R. n. 445/2000, l’automatica decadenza). In quest’ambito, può assumere rilevanza l’elemento soggettivo del richiedente e la distinzione tra dichiarazione “mendace”, “erronea”, “omissiva” o “reticente”, da accertarsi in concreto, caso per caso.
La distinzione tra le fattispecie di dichiarazione “non veritiera” appena ricordate non risiede nell’oggetto della dichiarazione, che è sempre lo stesso (le pregresse vicende), quanto, piuttosto, nella condotta del dichiarante (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 2986 del 12.5.2020; n. 2407 del 12.4.2019 e n. 7492 del 4.11.2019).
Mentre il concetto di “falso”, nell’ordinamento vigente, si desume dal codice penale, nel senso di “attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera” e dunque “il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso”; invece, la mera condotta colposamente omissiva o semplicemente erronea è priva di quel carattere “offensivo” della fede pubblica tutelata dalle norme penali e che giustifica anche la ratio della disciplina volta a semplificare l’azione amministrativa per cui la “decadenza dai benefici” direttamente conseguiti per effetto dell’autocertificazione sarebbe automatica (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 28 agosto 2020, n. 16; Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2020 n. 2976).
Nel caso in esame, la dichiarazione resa dal ricorrente non solo non comporta l’acquisizione diretta del beneficio (acquisto dello status di cittadino), ma sembra anche non presentare i caratteri della dichiarazione “mendace”, potenzialmente configurabile come reato, come lascia intendere l’Amministrazione, a causa dell’incertezza nella corretta individuazione della fattispecie concreta.