Accordo giudiziale USA-Google del 25 ottobre 2022
Il 30 giugno del 2016 un giudice del distretto nord della California emetteva un ordine di ricerca, secondo lo Stored Comunication Act (SCA), ingiungendo a Google di produrre dati e informazioni rilevanti per le indagini relative ad un illegale scambio di criptovalute tra la società BTC-E e i suoi amministratori.
Il 14 luglio 2016 era emessa da una Corte di Appello una decisione relativa ad un’analoga richiesta a Microsoft, che imponeva di limitare la ricerca di tali dati solamente ai server localizzati all’interno degli Stati Uniti (“Microsoft decision”)
Al tempo della Microsoft decision Google archiviava i dati in un network di computer, che automaticamente movimentava dati e componenti tra diversi server in diverse località. Quindi Google non riusciva sempre a identificare in quale nazione fossero archiviati determinati dati in un momento preciso. Facendo seguito alla Microsoft decision, Google decideva di produrre solo i dati per cui poteva confermare che fossero archiviati negli Stati Uniti. In realtà a quel tempo lavorava ad un tool che avrebbe dovuto raccogliere i dati da tutti i servers di Google, ovunque localizzati, ed archiviarli in server negli Stati Uniti. Google si convinse che tale tool avrebbe ecceduto gli scopi e i limiti degli ordini SCA, così come interpretati alla luce della Microsoft decision.
Quindi dall’inverno 2016 fino alla primavera 2017 Google sviluppava un tool che avrebbe dovuto limitare i dati e la ricerca degli stessi in risposta a questi ordini da parte del Governo, escludendo quei dati che fossero potenzialmente archiviati al di fuori degli Stati Uniti.
Il 27 settembre 2016 il pubblico ufficiale che si occupava delle indagini contattava Google chiedendo a che punto era la risposta all’ordine di ricerca, riconoscendo che una parte delle informazioni erano state fornite, ma che vi era un’altra parte di informazioni che non erano state fornite.
Google il 28 settembre 2016 produceva alcuni documenti e alcuni dati che erano sicuramente archiviati negli Stati Uniti, aggiungendo che altri dati erano stati omessi.
Allora pubblico ufficiale che si occupava della dell’indagine contattava Google per sapere che tipo di dati fossero stati archiviati in paesi stranieri e in quali paesi stranieri fossero stati archiviati.
Il 18 novembre 2016 Google integrava la produzione di dati, sulla base del nuovo tool che teneva conto della localizzazione geografica dei server, comunicando al Governo di avere fornito tutti i dati archiviati in tutti i server degli Stati Uniti, ma il Governo rispondeva che la produzione e la comunicazione dei dati era incompleta e non soddisfacente, per cui citava Google in giudizio, instaurando una battaglia legale che durava anni.
Il 23 marzo 2018 il Congresso approvava the CLOUD Act, che esplicitava che gli ordini di richiesta informazioni detenute da un provider avrebbero riguardato pure le informazioni archiviate oltre oceano.
Il 13 luglio 2018, in pendenza dell’appello, l’Avvocatura dello Stato informava che il Governo stava valutando se il ritardo nel fornire le informazioni avesse comportato la perdita di alcuni dati, e se questo poteva essere considerato un reato.
Subito dopo, tra agosto e settembre 2018, Google informava di volere cooperare, ma purtroppo alcuni dati erano stati cancellati dall’utente, per cui non era più possibile recuperarli.
Google ha ammesso che la sua interpretazione della Microsoft decision e il ritardo nella produzione dei dati e dei documenti, ha comportato la perdita di alcuni tra questi.
Quindi, tra novembre 2020 e aprile 2021, in seguito all’incontro con i rappresentanti del Dipartimento della Giustizia USA, Google ha deciso di cambiare le proprie politiche e il software, per rispondere in modo completo e senza perdita di tempo agli ordini di ricerca.
Il 25 ottobre Google e gli USA hanno raggiunto un accordo formale, in sede giudiziale, con l’atto che si allega.