Il problema dei medici a gettone: sono appalti legittimi?

In questo periodo si sente spesso parlare di medici a gettone, cioè di medici impiegati presso cooperative o comunque società appaltatrici esterne alle aziende sanitarie, i quali percepiscono molto di più rispetto allo stipendio di un medico dipendente (anche 1.200 euro a turno).

La situazione è tanto grave che l’ANAC ha diramato un comunicato, chiedendo al Ministero della Salute di intervenire, e affermando altresì:”Anac si è trovata impossibilitata a dare indicazioni perché non c’è alcun provvedimento del ministero che ponga dei limiti, né alcuna legge o decreto che disciplini quanto sta avvenendo”

L’obiettivo di questo piccolo post è quindi verificare le “coordinate giuridiche” di questi appalti, cioè le norme già esistenti e applicabili ai casi in questione.

Quando un’azienda sanitaria affida all’esterno dei servizi, lo può fare sulla base sostanzialmente di due tipologie di scelte organizzative e giuridiche:

1) con un contratto di somministrazione di manodopera;

2) esternalizzando il servizio con un appalto di servizi.

Nell’appalto di servizi “una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro – secondo lo schema dell’obbligazione di risultato; nel contratto di somministrazione, al contrario, l’agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore – secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi”, con la conseguenza che “nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire” (Consiglio di Stato, sentenza n. 1571 del 12 marzo 2018).

Nel settore sanitario sono ipotesi abbastanza frequenti: per esempio spesso si ricorre alla somministrazione di manodopera per attività di data-entry, attività amministrative routinarie e temporanee, mentre si ricorre all’esternalizzazione del servizio per l’attività di pagamento del ticket mediante le casse, per il servizio di prenotazione delle visite (CUP), per attività di manutenzione ordinaria, ecc…

L’aspetto più rilevante è che, nel caso di servizi sanitari, in entrambe le ipotesi sono necessarie particolari autorizzazioni.

Infatti la somministrazione di manodopera è ex lege riservata alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell’apposito Albo presso il Ministero del Lavoro (cfr. art. 4 del d.lgs. n. 276 del 2013).

In ogni caso per il pubblico impiego la somministrazione è vietata per le figure direttive e dirigenziali (art. 36 comma 2 d.lgs. 165/2001:Non e’ possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali).

Con il termine “funzioni direttive” nel pubblico impiego si è sempre individuato il personale del c.d. settimo livello, per il cui accesso è richiesto il titolo della laurea. Sebbene per l’accesso al profilo di infermiere sia richiesta la laurea, fino a qualche mese fa il CCNL vigente permetteva il ricorso alla somministrazione per il personale infermieristico. Nel CCNL ultimo approvato (triennio 2019-2021), invece, in maggiore aderenza all’art. 36 citato, all’art. 72 è espressamente previsto che “Il ricorso al contratto di somministrazione non è consentito per i profili professionali ….dell’area dei professionisti della salute” (id est gli infermieri).

Per ciò che concerne le funzioni dirigenziali, basti ricordare che i medici sono inquadrati espressamente come dirigenti. Difatti il CCNL dei dirigenti medici non fa menzione del contrattto di somministrazione, mentre, ad esempio, disciplina l’altra forma di contratto flessibile, cioè quello a tempo determinato.

Quindi, in sintesi, riguardo alla somministrazione del personale nella sanità, questa è consentita solamente alle Agenzie per il lavoro ed è in ogni caso vietata per il personale medico e per gli infermieri (si tralascia per motivi di sintesi l’analisi degli effetti di un contratto vietato dalla legge)

Per ciò che concerne l‘esternalizzazione dei servizi, questa è possibile solamente se maggiormente vantaggiosa rispetto all’erogazione attraverso risorse interne e alle stringenti condizioni poste dall’art. 6 bis del d.lgs. 165/2001: “Le pubbliche amministrazioni …. sono autorizzati … ad acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione e di adottare le necessarie misure in materia di personale”

Soddisfatte tali condizioni, si può procedere con l’esternalizzazioni dei servizi per i quali non si richiedono particolari autorizzazioni (come gli esempi prima riportati: pagamento del ticket mediante le casse, servizio di prenotazione delle visite CUP, attività di manutenzione ordinaria).

Quando invece i servizi da esternalizzare richiedono delle particolari autorizzazioni, quali appunto i servizi sanitari, allora il soggetto aggiudicatario di un appalto di esternalizzazione deve essere in possesso di quella particolare autorizzazione.

È chiaro quindi che esternalizzare un’attività di un reparto ospedaliero, è possibile solo se l’aggiudicatario è un soggetto autorizzato ad erogare prestazioni sanitarie. Dovrei far riferimento pure alle diversa fattispecie dell’accreditamento, ma per motivi di sintesi mi vedo costretto a non approfondire (cfr per il quasi analogo affidamento di servizi sociali: https://iusmanagement.org/2015/10/09/erogazione-servizi-sociali-co-co-co-appalto-concessione-o-accreditamento-la-disamina-da-parte-della-corte-dei-conti/ )

Quindi le società commerciali o le cooperative che ambissero ad aggiudicarsi un appalto di servizi per l’erogazione di prestazioni sanitarie, dovrebbero essere già in possesso di un’autorizzazione per attività sanitaria.

Questo implica anche un altro aspetto: le prestazioni rese a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), hanno delle tariffe ben precise, racchiuse nel Nomenclatore tariffario (cfr. “Il sistema di remunerazione delle prestazioni nel SSN” alla pagina web del Ministero). Le suddette tariffe sono omnicomprensive e predeterminate per singola prestazione, e comprendono la remunerazione di ogni fattore produttivo (personale, tecnologie, ecc…) e l’utile d’impresa.

Da quanto esposto, è quindi evidente che le aziende sanitarie pubbliche non possono nè stipulare un contratto di somministrazione per il personale infermieristico o medico, nè esternalizzare l’attività di un reparto (p.es. un Pronto Soccorso) ad un soggetto non autorizzato a esercitare attività sanitaria (società commerciali o cooperative). In quest’ultimo caso, inoltre, sono vincolate ad applicare le tariffe previste nel nomenclatore tariffario nazionale e regionale.

Si rinviene anche qualche pronuncia della Corte dei Conti in sede giurisdizionale, tra cui quella recente della sezione della Campania (n. 1319/2021), in cui la Procura ipotizzava una fattispecie di danno erariale discendente da un affidamento di servizi sanitari ad un operatore privato non autorizzato, né accreditato. La sentenza ha respinto le pretese della Procura, ma perchè, nonostante le condotte siano state censurate sotto il profilo dell’illegittimo protrarsi di un rapporto di affidamento del servizio sanitario in assenza di accreditamento, la prospettazione del danno da parte dell’Ufficio di Procura è stata considerata apodittica e generica.

Nelle vicende in argomento, altre violazioni sono spesso facilmente rilevabili dagli articoli giornalistici:

  • violazione delle norme sull’orario di lavoro (applicabile pure ai lavoratori somministrati);
  • violazione delle norme che prescrivono il titolo della specializzazione per lavorare come medico specialista;
  • violazione di diverse norme del c.d. codice degli appalti, in particolare gli obblighi di comunicazione ad Anac, le norme in materia di subappalto, le norme sulla tracciabilità dei compensi;
  • violazione del divieto di esercitare altri lavori da parte dei medici specializzandi;
  • violazione delle norme in materia di incompatibilità per i medici del SSN (che lavorano a qualsiasi titolo presso le aziende sanitarie, non solo dipendenti);
  • elusione dei limiti in materia di spesa del personale, a cui consegue che la somministrazione è fraudolenta, perchè effettuata con l’intento di eludere un divieto di legge.

Tra l’altro in queste situazioni sorgono sempre delle problematiche notevoli, tra cui:

In sintesi, il complesso mosaico di norme applicabili non è stato applicato.

Si vuole precisare che tale conclusione non è una critica alle aziende sanitarie, trovatesi strette tra l’incudine dei limiti di spesa per il personale dipendente, e il “martello” della necessità di erogare servizi essenziali, a cui si è aggiunta pure la grave carenza di personale medico.

Ai colleghi delle aziende sanitarie va quindi tutta la mia solidarietà