Chiedere soldi per fissare la data dell’operazione è induzione indebita, non concussione, se il malato ha un trattamento di favore

Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza n. 35164 dep. 21 settembre 2022

X era stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di cui all’art. 317 cod. pen. poiché “… in qualità di pubblico ufficiale abusando della propria qualità di medico chirurgo, costringeva un proprio paziente, in ragione della patologia e delle gravi sofferenze patite, a consegnargli una somma di denaro per il compimento della propria attività professionale: in particolare, X, tra il dicembre 2012 ed il febbraio 2013, contattato ripetutamente da una sua paziente affetta da stenosi alla spina dorsale che aveva visitato solo otto mesi prima, alle sue richieste di essere sottoposta ad intervento chirurgico in ragione delle gravi sofferenze patite, temporeggiava sui tempi di effettuazione dello stesso limitandosi a prescrivere, per telefono, l’assunzione di farmaci, così costringendola a promettere il pagamento della somma di denaro di 1.000 Euro (denaro non dovuto trattandosi di intervento chirurgico da compiersi presso una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale) a séguito della quale promessa, assicuratosi della disponibilità del denaro, senza visitare la paziente, fissava l’intervento chirurgico per la data del 18.4.2013 (la prima per lui disponibile). 

La Corte di Appello, invece, ha valutato in maniera approfondita, non illogica e non incongrua le dichiarazioni dei testi sottolineando che dalle loro parole era emerso che essi non erano stati affatto “costretti” a consegnare del denaro al X ma, secondo la Corte, soltanto “indotti” a corrispondergli somme non dovute. Il quadro istruttorio così ricostruito, nell’escludere l’esistenza degli elementi propri del delitto di concussione, ha tuttavia autorizzato i giudici del rinvio a ritenere la sussistenza dei presupposti fattuali del delitto di cui all’art. 319quater cod. pen (induzione indebita)

Rileva il collegio che le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Appello in sede di rinvio quanto alla qualificazione del fatto sono corrette: si è chiarito che nel delitto di cui all’art. 319quater cod. pen. l’abuso è indicativo dell’esistenza, in capo all’agente pubblico, di un diritto all’uso della qualità o dei poteri, che viene però deviato dalla sua funzione tipica e non è quindi un presupposto del reato ma un elemento essenziale e qualificante della condotta di costrizione o di induzione, nel senso che costituisce il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa dell’indebito. L’abuso in altri termini è legato da un nesso di causalità con lo stato psichico determinato nel soggetto privato ed è idoneo, in ulteriore sequenza causale e temporale, a provocare la dazione o la promessa dell’indebito.

Siffatte considerazioni, dunque, portano a convenire sulla correttezza dell’inquadramento operato dalla Corte di Appello atteso che risultano acquisiti e comprovati tutti gli elementi propri della fattispecie come ancora una volta evidenziati dalle SS.UU. “Maldera” e consistenti nell‘abuso prevaricatore del pubblico agente il quale, come nel caso di specie, opera in una condizione di forza ed è nella condizione di sfruttare la debolezza psicologica del privato il quale si risolve a prestare acquiescenza alla richiesta non per evitare un danno, ma con il fine di perseguire un vantaggio ovvero, in definitiva, assicurarsi un trattamento di favore. 

Nessun dubbio, nel caso di specie, sul “vantaggio” acquisito dalla paziente, che aveva potuto farsi operare in regime di convenzionamento con il SSN (e, perciò, come si è detto, a carico dello Stato) dal proprio medico di fiducia e reputato quello in grado di risolverle i gravi problemi di sofferenza fisica da cui era affetta; il X, d’altra parte, aveva potuto assicurare alla sua paziente questa possibilità “di favore” proprio perché professionista cui la clinica aveva assegnato un proprio “spazio operatorio” che egli aveva la possibilità di gestire in piena autonomia, posizione il cui rango pubblicistico era stata ribadita dalla stessa sentenza rescindente ma che egli aveva “piegato” e “strumentalizzato” per indurre la “sua” paziente a versargli una somma di denaro per ottenere proprio quel trattamento “di favore” di cui si è detto.

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