Evidenziamo due sentenze delle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti, praticamente coeve, dall’analisi delle quali si evidenzia un persistente conflitto nell’interpretazione del concetto di “occultamento doloso” in relazione alla mancata richiesta da parte di un pubblico dipendente dell’autorizzazione a svolgere prestazioni extra-officium.
Il “punctum disputationis” è se la mancata richiesta di autorizzazione all’ente di appartenenza, possa integrare o meno un “occultamento doloso”, cioè l’intenzione di nascondere tali attività all’amministrazione, oppure integri solamente la “colpa grave”, cioè l’avere violato delle regole con inescusabile colpevolezza.
Nel primo caso, quello dell’occultamento doloso, la prescrizione quinquennale del danno erariale comincia a decorrere solamente dal momento in cui l’amministrazione ha contezza dei fatti, che può avvenire anche a distanza di parecchi anni. Nel caso della colpa grave, invece, la prescrizione del danno erariale comincia a decorrere dalla data dei singoli fatti.
La giurisprudenza si è spesso orientata nel senso che la mancata richiesta di autorizzazione costituisce “occultamento doloso”, ma non di rado qualche collegio si è espresso per la seconda ipotesi. I sostenitori di tale ultima tesi mettono in rilievo che, per unanime giurisprudenza, l’occultamento doloso in generale richiede un “quid pluris” rispetto ad un semplice comportamento omissivo, cioè il compimento di ulteriori azioni tese a nascondere le prestazioni; talore tale ulteriore azione è stata rinvenuta, per esempio, nell’omessa dichiarazione dei redditi in questione ai fini fiscali, o in un’autocertificazione falsa successiva ai fatti.
La sezione giurisdizionale del Veneto con la sentenza n. 1 del 10 gennaio 2023 si è espressa nel senso che “se vero è che innegabilmente il doloso occultamento comporta in sé quel quid pluris la cui dimostrazione è a carico dell’agente, altrettanto vero è che l’omissione assume rilievo, a tal fine, ove sussista un obbligo della parte di informare (Sez. II, 28 maggio 2019, n. 175; Cass. civ., Sez. III 29 gennaio 2010 n. 2030), dovendosi tale omissione ritenere certamente dolosa e consapevole quando si correli ad atto dovuto per legge o per contratto (Cass. Sez. III, 11348/1998, Corte dei conti, Sez. III App. nn. 47, 104 e 468/2017 e 612/2016, Sez. I 124/2004, Sez. App. Sicilia n. 198/2012).E ciò, soprattutto, quando il comportamento atteso è collegato ad uno specifico obbligo di comunicazione, di informazione o di denuncia cui peraltro è ricondotta la specifica responsabilità di cui all’art. 1, co. 3 della legge 20/1994 (Sez. II App. n. 579/2016 e n. 319/2018)” (Sez. I App., n. 81/2021)”
La Sezione giurisdizionale regionale per l’Emilia-Romagna (sentenza n. 193/2022 del 22 dicembre 2022) invece, con sentenza di senso radicalmente opposto, afferma:
“Sul punto in varie sentenze (cfr. Sez. Giurisdiz. Liguria sent. n. 50/2013, sent. n. 146/2013 e n. 85/2014 e Sez. Terza centrale di appello n. 830/2012) è stata esclusa la sussistenza dell’occultamento doloso, perché come chiarito dalla giurisprudenza della Corte dei conti “l’occultamento doloso” non può coincidere, puramente e semplicemente, con la commissione (dolosa) del fatto dannoso in questione, ma richiede un’ulteriore condotta, indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto.
Occorre, in altri termini, un comportamento che, pur se può comprendere la causazione stessa del fatto dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire la scoperta di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un danno ormai prodotto” (cfr. Corte conti, Sez. Terza Centrale sent. n. 32/2002 e negli stessi termini, Sezione Prima Centrale sent. n. 40/2009, Sezione Terza Centrale sent. n. 474 del 2006, Sezione regionale Liguria 11.6.2009, sent. n. 287; Sezione regionale Veneto, 7.7.2005, sent. n. 992 e Sezione regionale Lombardia, 12.12.2005, sent. n. 728). La Terza Sezione Giurisdizionale Centrale di appello, sull’“occultamento doloso” ha affermato che occorre “un comportamento volto al raggiro, callido, teso con atti commissivi al nascondimento, di cui deve lasciar baluginare l’intenzionalità” (cfr. sent. n. 830/2012).
È stato, evidenziato (cfr. Corte conti, Sez. giur. reg. Toscana, 3.9. 2019, n. 330) che l’occultamento doloso previsto dalla normativa, richiede una condotta volutamente fraudolenta: diretta intenzionalmente ad occultare l’esistenza del danno; sia idonea ad ingenerare una situazione di obiettiva preclusione da parte del creditore.
La Seconda Sezione giurisdizionale centrale con sentenza n. 200/2020, pronunciatasi sull’appello della Procura Emilia-Romagna ha ribadito il principio, espresso da consolidata giurisprudenza contabile e della Cassazione, per cui “il doloso occultamento richiede la prova di una condotta ulteriore rispetto a quella causativa del pregiudizio, ingannatrice, fraudolenta ed indirizzata ad occultare l’esistenza del nocumento”.
Altra giurisprudenza fa coincidere il comportamento causativo della lesione con l’occultamento stesso (cfr. Corte conti, Sez. I centr. app., sent. n. 218/2018, Sez. giur. reg. Lazio, sent. n. 492/2018) affermando che: “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento danno da fatto illecito sorge non dal momento in cui l’agente compie l’illecito, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile”.
Tale “doloso occultamento”, secondo la giurisprudenza contabile (Sez. II/A sent. n. 592 del 2014 e n. 1094 del 2015), rileva non tanto sotto il profilo soggettivo (in riferimento, cioè, ad una condotta occultatrice del debitore), bensì sotto quello oggettivo (in relazione all’impossibilità dell’amministrazione di conoscere il danno e, quindi, di azionarlo tempestivamente in giudizio ex art. 2935 c.c.).
Infine, la Terza Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello con sentenza n. 277 del 2.8.2022, ha affermato che:
· “l’omessa richiesta dell’autorizzazione prescritta dalla legge non integra ex se ipotesi di occultamento doloso;
· l’occultamento doloso non può coincidere, puramente e semplicemente, con l’omissione contestata e accertata a carico dell’odierno appellato;
· Non è stata allegata, né provata alcuna condotta indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto. E non vi sono in atti elementi da cui possa essere desunto un comportamento volto a occultare l’emersione del danno, o un’attività fraudolenta soggettivamente diretta e oggettivamente idonea ad occultare il danno”.
Orbene, nel caso in esame pur in presenza di attività extralavorativa svolta dal sig. X in assenza di preventiva autorizzazione, tuttavia sulla base dei richiamati oggettivi riscontri documentali nella vicenda in esame non risulta che sig. X abbia realizzato un’ulteriore specifica attività finalizzata con artifizi e raggiri ad impedire la conoscenza del fatto, necessari per la sussistenza del doloso occultamento”
Fin qui la pronuncia della sezione giurisdizionale dell’Emilia Romagna.
E’ evidente ictu oculi il contrasto tra le due pronunce, nonchè tra le pronunce citate a sostegno delle diverse tesi. Si auspica quindi un intervento, magari delle Sezioni Riunite, che ponga termine a sentenze così contrastanti, soprattutto per l’esigenza di certezza del diritto.