Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 14 del 16 gennaio 2023
La vicenda ha ad oggetto l’occupazione ultradecennale dell’immobile di proprietà pubblica sito in Roma, via Napoleone III, n.8 di un intero edificio di sei piani da parte dell’associazione non riconosciuta “CasaPound” e di altri soggetti privati.
La Procura ha ripercorso gli eventi per effetto dei quali l’immobile in questione, appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato concesso in uso governativo al Ministero della Pubblica istruzione, a seguito del suo sgombero, fu occupato, in data 17 dicembre 2003 (ma gli enti risultano informati solo il 27 dicembre 2003) da un gruppo di persone al momento non identificato, ma poi, ricondotto al movimento sopra indicato con il dichiarato scopo di fornire un’abitazione a circa 20 famiglie.
Nel caso di specie non vi è dubbio che l’immobile, sebbene dismesso dal MIUR, al momento dell’avvenuta occupazione fosse potenzialmente pienamente utilizzabile e godibile da parte delle amministrazioni pubbliche, nelle forme previste dalla normativa vigente. Il Collegio, tuttavia, ritiene che l’appello di parte pubblica, pur con le delimitazioni e le precisazioni fornite dalla Procura generale non possa trovare accoglimento.
In sintesi la Procura generale ha ritenuto che la responsabilità dei dirigenti dell’Agenzia del Demanio derivi dalla condotta omissiva consistita unicamente dalla mancata adozione dei provvedimenti di autotutela amministrativa ex art.823 c.c. che avrebbe, invece, dovuto essere emanato al fine di consentire alla Prefettura ed alla forza pubblica, in presenza di un valido titolo giuridico, di procedere allo sgombero degli immobili.
Orbene, il Collegio ritiene che appaia indubbio che sussistesse in capo all’Agenzia del demanio e, nello specifico, agli odierni appellanti, uno specifico obbligo di porre in essere tempestivamente i necessari provvedimenti di autotutela amministrativa, nei modi rappresentati dall’appellante, essendo pienamente competente, in virtù della piena titolarità dei diritti ad essa riconosciuti dalla normativa richiamata in atti.
D’altronde tale pienezza di titolarità è stata anche riconosciuta dal recente parere del Consiglio di Stato, sez. I, n.1994 del 9 dicembre 2020. Tuttavia dall’esame dei fatti il Collegio ritiene che, la mancata tempestiva adozione di tali atti non è stata preclusiva alla mancata successiva adozione dei provvedimenti di sgombero, mai effettuati nonostante le diverse segnalazioni effettuate sia dal MIUR che, successivamente, dall’Agenzia del Demanio. In altri termini così come ricostruita l’azione di danno, appare carente di un ulteriore passaggio – fondamentale per la causazione del danno erariale e per la sua concretizzazione – avente ad oggetto la dimostrazione della effettiva esecuzione del provvedimento di autotutela, una volta emanato dall’autorità amministrativa.
Se tale ultimo tassello della catena procedimentale esecutiva, come chiarito dal pubblico ministero in udienza, non rileva ai fini della condotta concretamente contestata agli appellati principali, è pur vero che non vi è alcuna prova in atti dai quali poter desumere che, in caso di tempestiva adozione del provvedimento, le forze di Polizia a ciò preposte avrebbero proceduto a sgomberare tempestivamente l’immobile.
Tale presupposto appare rilevante ai fini della concreta valutazione del danno e deve essere incardinato in una visione complessiva delle condotte foriere di danno erariale, non potendo, in una generale visione fenomenica degli eventi in questione, escludersi senza alcuna apparente valutazione di insieme, il contributo causale di tutti i soggetti che , nel corso dei quattro lustri, hanno manifestato una pachidermica inerzia nel ripristino della legalità violata sia in relazione al nesso causale che alla valutazione del danno.
Se il comportamento tenuto dagli odierni appellati principali viene decontestualizzato e frammentato dal panorama complessivo, ritenendo che sia l’unica causa dell’ingente danno contestato, non si riesce a cogliere a pieno il complessivo quadro della vicenda.
Infatti sin dalle iniziali fasi gestionali della intervenuta occupazione, si evince che, nonostante le richieste di intervento e le riunioni effettuate, di cui si è data ampia contezza nelle motivazioni del giudice di prime cure, alcun intervento di sgombero è stato effettuato; sotto altro profilo in alcuno di tali interlocuzioni è stata manifestata l’esigenza fondamentale di procedere preventivamente all’adozione del provvedimento di autotutela di cui si contesta l’omessa adozione; al contrario, a mero titolo esemplificativo, la difesa del X ha dimostrato in atti che la forza pubblica in un differente caso ha tempestivamente proceduto allo sgombero degli immobili abusivamente occupati anche in assenza del titolo esecutivo, elemento evidente al fine di escludere che l’adozione del provvedimento amministrativo ex art.823 c.c., fosse ritenuto presupposto necessario, almeno fino all’entrata in vigore del d.l. n. 14/2017, per procedere alle operazioni di sgombero. Alcuna evidenza, poi, è stata prodotta al fine di dimostrare, anche solo in via presuntiva, che la presenza del titolo giudiziale avrebbe condotto all’immediato sgombero dell’immobile. Al contrario il Collegio ritiene che limpide argomentazioni in senso contrario sono riscontrabili nella nota della Prefettura di Roma del 1 febbraio 2019 indirizzata alla Guardia di Finanza, che, dopo aver dato atto delle diverse richieste inoltrate dal MIUR e delle diverse riunioni del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica susseguitesi dal 2004 al 2007 per verificare la praticabilità dello sgombero, afferma di non averlo attuato non per l’assenza del provvedimento amministrativo in questione, bensì per la destinazione spuria assunta dall’immobile e per la difficoltà del comune di Roma a sistemare in alloggi alternativi i diversi soggetti fragili che vi abitavano.
Anche dopo l’ulteriore richiesta presentata dall’Agenzia del Demanio del 2017 la vicenda è stata portata all’attenzione del Comitato Metropolitano nel Gennaio 2018 per sollecitare gli uffici di Roma capitale a fornire un aggiornamento sulle soluzioni assistenziali praticabili nei confronti degli occupanti abusivi, riscontro che, al Febbraio 2019 non risultava ancora pervenuto.
La Prefettura ha altresì affermato che la vicenda si collocava in un contesto molto più ampio dell’emergenza abitativa della Capitale e che, nella gestione della situazione dovevano essere valutati diversi e contrapposti interessi meritevoli di tutela da contemperare, fra cui, appunto il diritto di assistenza alle persone fragili con quello di proprietà. Ha aggiunto, infine, che i problemi connessi all’intervento della forza pubblica riguardavano i contestuali interventi di assistenza, a cura degli Enti locali in favore degli occupanti in condizioni di fragilità e l’esigenza di evitare disordini sociali. Come evidente, nessuna problematica aveva ad oggetto la mancata disponibilità del titolo esecutivo che, invero, solo dalla fine del 2017 e precisamente dal 20 ottobre 2017 è diventato il secondo elemento di priorità, ai fini della redazione del previsto piano degli sgomberi, per poter procedere a liberare forzosamente gli immobili occupati. In tale contesto, poi, ulteriore elemento a favore degli appellati è rappresentato dalla circostanza, sollevata da tutte le difese che l’immobile, nonostante gli adottati provvedimenti ex art.823 c.c sin dal 2019, risulta ancora occupato in quanto esclusivamente inserito nel piano degli sgomberi predisposto dalla Prefettura.
Alla luce di quanto sopra esposto l’appello principale deve essere rigettato e, pertanto deve trovare conferma la pronuncia di primo grado atteso che non è ravvisabile il requisito della colpa grave nel comportamento pur negligente degli odierni appellati consistente nella mancata attivazione del provvedimento di autotutela che, invero, dovrebbe, anche alla luce dell’attuale procedimentalizzazione dei provvedimenti di sgombero introdotta dal d.l. n. 14/2017, essere prontamente adottato in siffatti casi.