La recente novella legislativa non preclude l’utilizzo nel giudizio contabile delle prove acquisite in sede di patteggiamento penale


Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, sentenza n 25 del 20 gennaio 2023

Occorre fare alcune puntualizzazioni, a fronte delle considerazioni espresse dall’appellante in occasione dell’udienza, in ordine alle modifiche normative recentemente introdotte all’art. 445, comma 1 bis, del c.p.p., da cui deriverebbe l’inutilizzabilità del patteggiamento nell’odierna sede. Con l’art. 25, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 150 del 10.10.2022 (la cui entrata in vigore è stata fissata al 30.12.2022, con d.l. n. 162 del 31.10.2022), è stato riformulato il comma 1 bis citato ed è stato stabilito che “La sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile…”.

È evidente come la riforma, in attuazione dell’art. 1, comma 10, lett. a), n. 2 della legge delega (n. 134 del 2021), sia diretta a limitare gli effetti extra-penali del 8 provvedimento di applicazione della pena su richiesta e, in particolare, la rilevanza probatoria del fatto storico in esso delineato. Attraverso la novella legislativa è stato infatti eliminato il riferimento all’art. 653 c.p.p., che pertanto continua a riguardare le sole decisioni di assoluzione e di condanna.


Ai fini che interessano, rispetto alla novità normativa richiamata, deve, tuttavia, rilevarsi che la natura di piena prova della pronuncia di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. è stata sovente esclusa da questa Corte, che ha costantemente ribadito l’autonomia del giudice erariale nell’apprezzamento dei fatti, ai fini dell’accertamento della responsabilità; a tale principio la Sezione territoriale si è rigorosamente attenuta e la conclusione, sul punto, appare esente da critiche. Ad avviso del Collegio, l’argomentazione addotta non si pone in contrasto con il dettato di cui all’art. 445, comma 1 bis, c.p.p., pure nella rinnovata versione, in quanto la condanna della convenuta è basata sulla disamina delle prove versate in atti, ancorché oggetto di acquisizione dalla sede penale. In sostanza, l’esito contestato trae origine dal vaglio degli elementi costituitivi della fattispecie di danno, che hanno trovato dimostrazione nelle evidenze allegate a supporto dell’azione, a prescindere dalla circostanza che le stesse fossero pervenute dall’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 58 c.g.c., e che fossero state oggetto di precedente corrispondente vaglio da parte del giudice penale.

In definitiva, in disparte ogni considerazione sull’efficacia temporale della disposizione evocata nell’attuale ambito, i principi affermati dalla giurisprudenza erariale – secondo cui sebbene la sentenza di patteggiamento non fornisca prova dei fatti nel giudizio, ciò non esclude l’utilizzo degli accertamenti compiuti ai fini penali, ritualmente riversati nel fascicolo di responsabilità, allo scopo di fondare la condanna risarcitoria – non si potrebbero comunque in contraddizione con la modifica legislativa.

Il compendio istruttorio utilizzato è stato pertanto correttamente ritenuto
convergente allo scopo di dimostrare l’attendibilità degli addebiti mossi all’appellante, avuto riguardo ai diversi capi di imputazione. Ciò emerge dalla semplice ricognizione degli atti, i quali contengono chiari riferimenti alla compartecipazione della dipendente e alle utilità fornite dai privati, interessati a pratiche per il rilascio di permessi di soggiorno

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