Corte Costituzionale, sentenza n. 8 dep. 27 gennaio 2023
X ha convenuto in giudizio l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per sentir accertare l’insussistenza dell’obbligo di restituire euro 1.926,60 che l’ente previdenziale, con nota del 26 novembre 2013, aveva richiesto a titolo di maggiori somme indebitamente corrisposte sull’indennità di disoccupazione percepita tra ottobre 2004 e luglio 2005. A sostegno della propria pretesa, il ricorrente nel giudizio a quo ha eccepito la violazione del principio di buona fede, evindenziando il lungo tempo trascorso tra la cessazione dell’erogazione e la prima richiesta di restituzione, la conoscenza da parte dell’INPS di tutti gli elementi per determinare l’indennità e la destinazione della somma a esigenze alimentari.
La Corte Costituzionale ha sottolineato la rilevanza che possono assumere, nell’attuazione del rapporto obbligatorio avente a oggetto la ripetizione dell’indebito, tanto lo stesso affidamento legittimo ingenerato nel percipiente, quanto le condizioni in cui versa quest’ultimo.
Il primo accorgimento, imposto ex fide bona dalla sussistenza in capo all’accipiens di un affidamento legittimo circa la spettanza dell’attribuzione ricevuta, risiede nel dovere da parte del creditore di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato, che, ex abrupto, si trova a dover restituire ciò che riteneva di aver legittimamente ricevuto. La pretesa si dimostra dunque inesigibile fintantoché non sia richiesta con modalità che il giudice reputi conformi a buona fede oggettiva (ex multis, Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 10 dicembre 2020, n. 7889; parere 31 dicembre 2018, n. 3010; adunanza plenaria, sentenza 26 ottobre 1993, n. 11).
Il rilievo che possono assumere le circostanze concrete e, in particolare, la considerazione delle condizioni personali del debitore hanno poi indotto gli interpreti a valorizzare anche forme ulteriori di inesigibilità, sia temporanea sia parziale, della prestazione. L’inesigibilità, in tal modo, attenua la rigidità dell’obbligazione restitutoria che, in quanto obbligazione pecuniaria, non vede operare – per comune insegnamento – la causa estintiva costituita dall’impossibilità della prestazione. In particolare, l’inesigibilità non colpisce la fonte dell’obbligazione, ma funge da causa esimente del debitore, quando l’esercizio della pretesa creditoria, entrando in conflitto con un interesse di valore preminente, si traduce in un abuso del diritto.
In definitiva, la clausola della buona fede oggettiva consente, sul presupposto dell’affidamento ingenerato nell’accipiens, di adeguare, innanzitutto, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato. Inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili, la buona fede oggettiva può condurre, a seconda della gravità delle ipotesi, a ravvisare una inesigibilità temporanea o finanche parziale.
La circostanza per cui l’inesigibilità non determina l’estinzione dell’obbligazione non deve, d’altro canto, indurre a ritenere che il rimedio non consenta di superare il vaglio della non sproporzione dell’interferenza, secondo quanto evidenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Infatti, le richiamate sentenze di quest’ultima ravvisano violazioni dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU in presenza di pretese restitutorie che disattendono una doverosa considerazione dell’affidamento legittimo dell’obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali, ma non per questo impongono di generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione.