Consiglio di Stato, ordinanza n. 1071 del 31 gennaio 2023
Le società ricorrenti sono piccole imprese che svolgono attività di gestione delle sale da Bingo in virtù di concessioni scadute.
Le appellanti deducono che l’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147: i) aveva previsto, per assicurare l’allineamento temporale di tutte le concessioni ai fini dell’indizione della nuova gara, la proroga tecnica delle concessioni in atto; ii) aveva determinato il canone dovuto dai concessionari beneficiari della proroga, in 2.800 euro per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni e in 1.400 euro per ciascuna frazione di mese inferiore a quindici giorni; iii) aveva introdotto il divieto di partecipare alla gara per la riattribuzione della concessione per i titolari di concessione scaduta che non avessero acconsentito al regime di proroga.
L’art. 1, comma 934, della legge 28 dicembre 2015, n. 209 ha poi incrementato il canone dovuto dagli operatori titolari di concessioni scadute in regime di proroga tecnica, da 2.800 a 5.000 euro per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni e da 1.400 a 2.500 euro per ciascuna frazione di mese inferiore a quindici giorni e ha vietato il trasferimento dei locali.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in attuazione di tale normativa, ha altresì adottato il provvedimento 5 gennaio 2015, n. 700.
Le società hanno lamentato la violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità dell’intervento normativo e del provvedimento amministrativo attuativo in quanto è stata disposta la proroga: i) senza che vi fosse una ragione giustificativa; ii) con un aumento del canone nonostante la costante diminuzione del volume di raccolta del Bingo; iii) con rinvio della indizione della nuova gara senza una precisa indicazione temporale e con imposizione dell’onere gravoso di dovere consentire la proroga come condizione per poter essere ammesso alla partecipazione alla nuova gara.
Hanno altresì lamentato la violazione dei principi di ragionevolezza e di principio di capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.), in quanto la prestazione richiesta – che avrebbe, per le sue caratteristiche, natura tributaria –non terrebbe conto dell’effettiva capacità economica dei singoli operatori, assimilandoli tutti nel forzoso pagamento forfettizzato e sproporzionato.
Il Collegio, rinviando alla Corte di Giustizia UE, prospetta le seguenti questioni interpretative:
A. Se la normativa nazionale, sopra riportata, viola le libertà europee di stabilimento e di impresa, in quanto: i) determina un aumento del canone che prescinde dalla valutazione delle dimensioni delle imprese; ii) impone l’accettazione della proroga e del suddetto aumento del canone, aggravato dal divieto di cessione dei locali, quale irragionevole condizione per potere partecipare alle successive gare che vengono anch’esse indefinitivamente posticipate.
B. Qualora si dia risposta positiva al primo quesito, si dubita che la suddetta restrizione possa ritenersi giustificata per la asserita sussistenza di un motivo imperativo di interesse generale, indicato nell’esigenza di assicurare un allineamento temporale dell’avvio delle procedure di gara.C. Qualora, nondimeno, si ritenesse che vi sia un motivo imperativo di interesse generale, se ugualmente sono stati violati: i) il principio di proporzionalità, perché la misura restrittiva non è adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto all’obiettivo pubblico formalmente indicato; ii) il principio di concorrenza per il mercato, perché la scelta di prorogare le concessioni e di posticipare l’avvio delle gare impedisce agli operatori di settore l’esercizio della libertà di impresa, quantomeno sotto il profilo della necessaria programmazione e pianificazione delle attività.