Il divieto di svolgere attività extra non si applica ai medici militari e della Polizia di Stato

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale del Lazio, sentenza n. 129 del 23 febbraio 2023

 La questione all’esame della Sezione riguarda una fattispecie di responsabilità amministrativa che la Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio ritiene sussistere nei confronti del Signor X X, come in epigrafe generalizzato, nella sua qualità di sua qualità di OMISSIS della Polizia di Stato, in relazione ad un’ipotesi di danno erariale che lo stesso avrebbe cagionato alle finanze dello Stato, e per esso, del Ministero dell’interno, con il suo comportamento connotato da intento doloso, per effetto dello svolgimento di visite mediche non autorizzabili, per le quali ha percepito indebitamente e non riversato al Ministero degli interni, quale Amministrazione di appartenenza, i compensi percepiti negli anni 2017 e 2018, nonché danno patrimoniale da disservizio, inteso come servizio non conforme né a legge né ai canoni di buon andamento della P.A., causato alla medesima Amministrazione, per avere impiegato le proprie energie lavorative in contrasto con le missioni istituzionali, ivi compresa la presenza in servizio.

Il Collegio ritiene non condivisibile la tesi attorea e, per l’effetto, ritiene insussistente il danno, atteso che la condotta tenuta dal convenuto non può ritenersi antigiuridica, alla stregua delle risultanze processuali.

Preliminarmente, si rende opportuno richiamare la ricostruzione del quadro normativo rilevante ai fini dell’esame della fattispecie dedotta in giudizio.

In via principale, la tesi attorea si fonda, secondo l’impulso fornito alla Guardia di Finanza dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, sulla incondizionata applicabilità al caso di specie degli artt. 53 d.lgs. n. 165 del 2001 e 60 ss. D.P.R. n. 3 del 1957.

Tale ricostruzione normativa non appare condivisibile, almeno dall’entrata in vigore, il 7 luglio 2017, della modifica del d.lgs. n. 334 del 2000, che, affermando espressamente che “1.Ai medici e ai medici veterinari della Polizia di Stato non sono applicabili le norme relative alle incompatibilità inerenti all’esercizio delle attività libero-professionali, fermo restando il divieto, per i medici, di svolgere attività libero-professionale, a titolo oneroso, nei confronti degli appartenenti all’Amministrazione della pubblica sicurezza e nei procedimenti medico-legali nei quali è coinvolta, quale controparte, la stessa Amministrazione.

Tale disposizione ha sancito, in sostanza, l’inapplicabilità sia dell’art. 60 del D.P.R. n. 3 del 1957 all’attività libero-professionale (sanitaria) svolta dai medici della Polizia di Stato sia, per quanto attiene il divieto di svolgere attività libero-professionale, dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 nei confronti dei medesimi.

Si tratta, e ben vedere, di una deroga ex lege analoga a quella già riconosciuta dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. per tutte, Cons. Stato, sez. II, 10 febbraio 2022, n. 24) per i medici militari ai sensi dell’art. 210 d.lgs. n. 66 del 2010 (a differenza di quanto previsto per i medici appartenenti al servizio sanitario nazionale), la cui ratio è stata individuata “ in esigenze di interesse generale, sia della collettività civile che dell’amministrazione militare, esigenze che il medico militare è in grado di soddisfare per la peculiarità della sua figura, la quale deve assommare alle doti professionali tutte le più spiccate virtu’ militari (art. 209 C.O.M.). Questa duplice dimensione (medica e militare) ha sempre rappresentato e continua a rappresentare, quindi, l’essenza e il fondamento della deroga alla regola dell’incompatibilità a favore degli ufficiali medici al fine di consentire l’osmosi tra esperienza nel contesto civile e professionalità nel settore militare“.A corollario si osserva che detta ratio riposa anche nell’esigenza di consentire alle Forze armate, e dunque anche alla Polizia di Stato, di rendersi “attrattive”, sia sul piano economico che professionale, per poter disporre di medici appartenenti ai propri ruoli (per così dire, “in divisa”), al fine di corrispondere alle specifiche esigenze operative ed istituzionali, altrimenti destinate a rimanere insoddisfatte con il ricorso agli unici strumenti alternativi possibili, costituiti dalle strutture del Servizio sanitario nazionale ovvero dai medici convenzionati.

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