Corte Europea dei diritti dell’uomo, case of J.A. AND OTHERS v. ITALY, sentenza del 30 marzo 2023
I ricorrenti hanno lasciato la costa tunisina il 15 ottobre 2017 a bordo delle navi improvvisate per raggiungere una barca più grande che trasportava circa cento persone. Dopo alcune ore di navigazione, a seguito di un’emergenza in mare, sono stati salvati da una nave italiana che li ha portati a Lampedusa il 16 ottobre 2017. Hanno sostenuto che hanno subito un controllo medico. Alcuni di loro hanno ricevuto un volantino contenente informazioni generali su minori non accompagnati e procedure di asilo. I ricorrenti hanno dichiarato di non essere stato in grado di comprendere appieno il contenuto di tali documenti. Hanno quindi subito procedure di identificazione.
I ricorrenti sono rimasti nell’hotspot di Lampedusa per dieci giorni, durante i quali era per loro impossibile per loro interagire con le autorità. Hanno dichiarato che non erano stati in grado di lasciare il centro legalmente durante quel periodo e che lo avevano fatto alcune volte attraversando un’apertura nella recinzione che circondava il centro. I ricorrenti hanno descritto le condizioni del centro come disumane e degradante.
La mattina presto del 26 ottobre 2017 i ricorrenti e alcune quaranta altre persone sono state svegliate dalle autorità italiane. Fu loro detto di spogliarsi, furono perquisiti e poi furono trasferiti in autobus per l’aeroporto di Lampedusa.
Lì, ai ricorrenti è stato chiesto di firmare alcuni documenti di cui non comprendevano il contenuto o non potevano ricevere una copia e che successivamente hanno scoperto erano ordini di espulsione emessi dalla Questura di Agrigento.
La Corte ha ribadito che l’espulsione collettiva in violazione dei diritti umani deve essere intesa come qualsiasi misura coattiva che allontani un gruppo da un paese, tranne laddove tale misura viene presa sulla base di un esame ragionevole e obiettivo del caso particolare di ogni singolo straniero del gruppo (vedi N.D. e N.T. v. Spagna [GC], nn. 8675/15 e 8697/15, §§ 193-201, 13 febbraio 2020 e i casi citati in essa). Inoltre, l’articolo 4 del protocollo n. 4 non garantisce il diritto a un’audizione individuale in tutte le circostanze e i requisiti di questa disposizione possono essere soddisfatti laddove ogni straniero abbia una possibilità autentica ed efficace di presentare argomenti contro la sua espulsione e dove gli argomenti sono esaminati in modo appropriato dalle autorità dello stato convenuto (vedi Khlaifia e altri, citati sopra, § 248).
Nel presente caso, i richiedenti hanno dichiarato che non si è tenuta alcuna audizione con le autorità prima di firmare gli ordini di espulsione, di cui non hanno ricevuto alcuna copia. la Corte rileva che il governo non ha contestato le informazioni presentate dai ricorrenti al riguardo.
I ricorrenti sono stati prelevati con la forza il giorno in cui sono stati consegnati gli ordini di espulsione. I loro polsi erano legati con cinturini in velcro durante i trasferimenti agli aeroporti e i loro telefoni cellulari furono portati via da loro fino al loro arrivo in Tunisia.
Riguardo a ciò la Corte si basa sul rapporto 2016-17 del garante dei migranti in cui, a seguito di una visita all’hotspot Lampedusa, il garante ha invitato le autorità italiane a sospendere la pratica dei migranti che firmano le informazioni foglio durante le loro procedure di identificazione.
Inoltre, nel 2017 la straordinaria Commissione per la protezione e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica (vedi paragrafo 19 sopra) ha riferito che la scheda informativa utilizzata nell’hotspot Lampedusa non poteva essere qualificata come un colloquio adeguato ma come un semplice questionario formulato in modo estremamente conciso e in ogni caso difficile da capire per gli alieni interessati.
La Corte rileva inoltre che, nella sua sentenza n. 275 dell’8 novembre 2017, la Corte costituzionale ha osservato che i rifiuti differiti all’ingresso eseguiti attraverso l’uso della forza hanno richiesto un intervento legislativo poiché tale misura ha avuto un impatto sulla libertà personale dell’individuo ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione.
In queste circostanze, la Corte rileva che gli ordini di espulsione e di rimozione emessi nel caso dei richiedenti non avevano il giusto riguardo alle loro situazioni individuali (vedi Shahzad v. Ungheria, n. 12625/17, § 60 -68, 8 luglio 2021; D.A. e altri contro Polonia, n. 51246/17, §§ 81-84, 8 luglio 2021; e A.I. e altri contro Polonia, n. 39028/17, §§ 52-58, 30 giugno 2022).
Tali atti e provvedimenti quindi hanno costituito un’espulsione collettiva di stranieri vietata ai sensi dell’articolo 4 del protocollo n. 4 alla Convenzione e pertanto vi è stata anche una violazione di tale disposizione nel caso di specie.
Per questi motivi, la corte, all’unanimità,
Sostiene che c’è stata una violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
Sostiene che vi è stata una violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione;
Sostiene che vi è stata una violazione dell’articolo 4 del protocollo n. 4 alla Convenzione;
e decide che lo stato convenuto debba pagare i seguenti importi:
(i) 8.500 EUR per ciascun ricorrente, oltre a qualsiasi imposta che può essere a carico, in relazione al danno non pecuniario;
(ii) EUR 4.000 (quattromila euro) congiuntamente in relazione ai costi e alle spese.