Con il rito sanzionatorio con cui si accerta il dissesto dell’ente locale, possono anche essere interdetti i politici responsabili del dissesto: non serve un nuovo processo con rito ordinario

Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, sentenza n. 4 del 1 aprile 2023

Come anticipato nella narrazione dei fatti di causa, si registrano, nella giurisprudenza contabile di primo grado, due contrapposti orientamenti che, con varie argomentazioni, tutte per la verità non prive di apprezzabili spunti giuridici, sostengono, ai fini dell’accertamento delle responsabilità da dissesto determinanti l’irrogazione delle misure interdittive personali di cui al all’art. 248 t.u.ee.ll., sia l’utilizzabilità del rito sanzionatorio pecuniario di cui agli artt. 133 e ss. c.g.c. (in tali termini e senza pretesa di esaustività: cfr. C. conti, Sez. giurisd. Abruzzo, n. 97/2019; C. conti, Sez. giurisd. Calabria n. 215/2021), che l’inammissibilità dell’azione così proposta dal requirente (tra cui, si è già ricordato, la sentenza n. 482/2021 della Sezione siciliana della Corte, che ha dato l’abbrivio al presente deferimento, in quanto dissonante col decreto monocratico n. 16/2020, pronunciato nel medesimo processo).

Gli argomenti a favore della tesi più possibilista evidenziano, sostanzialmente, che il rito sanzionatorio pecuniario, per come strutturato, assicura garanzie difensive comunque più che sufficienti, in quanto caratterizzato da: a) triplice grado di giudizio a contraddittorio pieno; b) termini a difesa equivalenti a quelli ordinari; c) poteri istruttori ufficiosi, svincolati dal principio dispositivo.

In senso contrario, l’altro indirizzo evidenzia: – l’assenza nel codice della giustizia contabile, a differenza degli omologhi processi civili e amministrativo, di una norma ad hoc che disciplini il concorso di riti; – il dichiarato scopo del legislatore, desumibile dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 174/2016, di modellare un rito sanzionatorio esclusivamente pecuniario in quanto volto a superare il pregresso orientamento nomofilattico espresso con la sentenza di queste Sezioni riunite n. 12/QM/2007, che, com’è noto, nel vigore della precedente disciplina processuale ante codicistica, sancì l’obbligo di adoperare il rito ordinario di responsabilità (comprensivo anche dell’invito a dedurre), per l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 30, co. 15, l. n. 289/2002; – l’utilizzabilità del rito ordinario di responsabilità per ogni giudizio diverso (ad esempio, sull’azione revocatoria contabile), per il quale non sia prevista una diversa disciplina speciale.

Al riguardo, ritengono queste Sezioni Riunite che debba aderirsi all’opzione ermeneutica prospettata nell’atto di deferimento e sostenuta dalla giurisprudenza maggiormente possibilista, dapprima richiamata, in quanto più coerente logicamente col quadro ordinamentale processuale e, soprattutto, più ossequiosa dei ricordati principi di concentrazione delle tutele, giusto e ragionevole processo e di economia processuale richiamati dagli artt. 3 e 4 c.g.c. e dall’art. 111 Cost.

Può, all’uopo, ripercorrersi l’iter logico-giuridico sviluppato in tali precedenti, per la parte ritenuta condivisibile da questo Consesso plenario, secondo cui:

il riconoscimento della responsabilità per aver contribuito al dissesto e l’applicazione delle sanzioni coincidono e sono accomunati in un unico momento accertativo, non essendo ipotizzabile che un accertamento di responsabilità possa avvenire in altra sede o con un rito diverso solo per attivare il susseguente rito sanzionatorio;

– in virtù dell’autonomia tra il rito speciale di cui agli artt. 133 e ss. e quello ordinario, non può  ritenersi applicabile l’istituto dell’invito a dedurre di cui all’art. 67 c.g.c.;

il rito sanzionatorio non limita in modo sostanziale il diritto di difesa delle parti, né il contraddittorio tra le stesse, potendo le parti partecipare alla fase monocratica, opporsi al decreto del giudice monocratico e appellare la sentenza del collegio;

la valutazione sia dell’elemento soggettivo, sia del contributo causale avviene nel pieno rispetto della clausola generale della responsabilità amministrativa di cui all’art. 1 della l. n. 20/1994;

anche le sanzioni interdittive (o “di status”) conseguono di diritto all’unico accertamento della responsabilità alla contribuzione del dissesto, nell’ambito del medesimo rito sanzionatorio, in quanto il positivo accertamento della responsabilità da contribuzione al dissesto si pone come condizione necessaria per la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle citate sanzioni di status: da tale accertamento discende, infatti, il duplice effetto della condanna alla sanzione pecuniaria e quello dichiarativo, automatico e consequenziale, in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle sanzioni interdittive di cui innanzi;

il giudice contabile, pertanto, ha cognizione piena su entrambi gli effetti che derivano dall’unico accertamento in ordine alla responsabilità degli amministratori e dei revisori che abbiano contribuito, con dolo o colpa grave e con condotte omissive o commissive, al verificarsi del dissesto.

Le richiamate argomentazioni forniscono negativa risposta alle obiezioni di illegittimità costituzionale prospettate dai prevenuti, per contrasto degli art. 133 e ss. c.g.c. con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.: le stesse appaiono, invero, manifestamente infondate, preservandosi, con il rito così delineato, il nucleo essenziale dei diritti di difesa costituzionalmente garantiti.

Per questi motivi la Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale, dando soluzione al quesito posto dal Procuratore Generale, con atto di deferimento per questione di diritto e di massima, iscritto al n. 741/SR/QM/PROC, enuncia il seguente principio di diritto: “Con il rito sanzionatorio previsto dagli artt. 133 e ss. del c.g.c. possono valutarsi l’applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai co. 5 e 5bis dell’art. 248 del d.lgs n. 267/2000 e i presupposti di fatto che determinano le connesse misure interdittive, previste dai medesimi commi quali effetto giuridico della condotta sanzionata”.

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