TAR Liguria, sentenza n. 78 del 16 gennaio 2023
L’art. 65 del codice dell’amministrazione digitale di cui al d.lgs. n. 82 del 2005 individua una serie di modalità alternative, tutte valide ed equipollenti, per la presentazione di istanze e dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi pubblici; queste sono valide: a) se sottoscritte mediante una delle forme di cui all’articolo 20 (ossia firma digitale, firma elettronica qualificata, firma elettronica avanzata o comunque formazione previa identificazione informatica dell’autore del documenti); b) ovvero, quando l’istante o il dichiarante è identificato attraverso il sistema pubblico di identità digitale (SPID), la carta di identità elettronica o la carta nazionale dei servizi; b-bis) ovvero formate tramite il punto di accesso telematico per i dispositivi mobili di cui all’articolo 64-bis; c) ovvero sono sottoscritte e presentate unitamente alla copia del documento d’identità; c-bis) ovvero se trasmesse dall’istante o dal dichiarante dal proprio domicilio digitale iscritto in uno degli elenchi di cui all’art. 6-bis, 6-ter o 6-quater ovvero, in assenza di un domicilio digitale iscritto, da un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento eIDAS (a tal proposito, occorre aggiungere che ai sensi dell’art. 61, comma 1, del DPCM del 22.02.2013, l’invio tramite posta elettronica certificata dell’art. 65, comma 1, suddetto, sostituisce, nei confronti della pubblica amministrazione, la firma elettronica avanzata, quando sia richiesta la ricevuta completa di avvenuta consegna).
L’ASL sostiene che la norma individui diverse modalità di presentazione delle istanze in via telematica, tra le quali ciascuna Amministrazione avrebbe la libertà di scegliere quale prescrivere ai cittadini nell’ambito di procedimenti da questa di volta in volta avviati.
La tesi non può essere condivisa, perché trascura di considerare sia il dato letterale (secondo cui le istanze «sono valide» se presentate in uno dei modi ivi indicati, i quali sono chiaramente alternativi, come dimostra l’uso della congiunzione “ovvero” tra l’uno e l’altro), sia, da un punto di vista sistematico, il fatto che la disposizione rappresenti l’applicazione concreta del “diritto all’uso delle tecnologie” nei rapporti tra privato e Amministrazione sancito dall’art. 3 del codice: è dunque il privato a poter scegliere tra le diverse modalità – tutte “valide” – contemplate dall’art. 65, mentre l’ente pubblico, dal canto suo, non può arbitrariamente limitare il ricorso all’una o all’altra di esse.
Nel caso di specie, quindi, la domanda inoltrata dall’odierna ricorrente a mezzo PEC, da un indirizzo iscritto nell’elenco Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti INI-PEC – e, oltretutto, con allegata copia del documento d’identità – garantiva l’assoluta certezza circa l’identità della candidata ed era pienamente valida ed ammissibile, in quanto conforme alla lett. c-bis) dell’art. 65, comma 1, d.lgs. 82/2005 (in tal senso, su caso analogo, si v. TAR Sicilia, Palermo, sent. n. 167 del 2018).