Lo svolgimento di prestazioni non autorizzate (e anche non autorizzabili) impone l’obbligo di riversamento dei compensi, a prescindere dalla prova del danno erariale

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, sentenza n. 110 del 14 aprile 2023

La convenuta, pur essendo inquadrata come collaboratore esperto linguistico a tempo indeterminato presso il Dipartimento di Lingue, Letterature e Studi Interculturali dell’Università, avrebbe svolto senza alcuna autorizzazione l’attività libero professionale di avvocato, peraltro di per sé nemmeno autorizzabile perché di natura continuativa.

E’ incontestabile che alla mancanza dell’autorizzazione consegue l’obbligo, da parte dell’ente erogante e/o del percettore, di riversare i compensi all’amministrazione di appartenenza (per essere poi destinati all’incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti), ai sensi del comma 7 dell’art. 53 del D. Lgs. n. 165/2001. Si tratta di un’ipotesi di responsabilità tipica, in cui la sanzione è predeterminata dalla legge; qualora il percettore o l’ente erogante non provvedano a riversare i compensi all’amministrazione di appartenenza, è comunque configurabile una fattispecie di comune responsabilità erariale, ai sensi del comma 7 bis dello stesso art. 53.

Come chiarito dalla giurisprudenza contabile, l’obbligo di riversamento previsto dal comma 7 “non presuppone di per sé un effettivo danno patrimoniale a carico dell’amministrazione interessata, sicché costituisce una tipica ipotesi di responsabilità c.d. “sanzionatoria”, ovverosia una fattispecie per la quale “la norma di legge non si limita a prevedere genericamente la responsabilità amministrativa come conseguenza di determinati comportamenti, ma provvede a fissare la tipologia della punizione o la precisa entità del pagamento dovuto (sia pure, talora, fissato tra un minimo e un massimo), con conseguente impossibilità, per il Giudice del merito, di addebitare al responsabile, una volta individuato, un importo diverso” (Sezioni riunite, n. 12/11/QM). Sembra dunque più corretto “definire l’obbligo di restituzione quale sanzione; ma averlo definito, come ha fatto il legislatore, fonte di responsabilità erariale, comporta che ad esso si applicano le norme sulla responsabilità erariale e, pertanto, il termine prescrizionale non può che essere quello quinquennale” (Sez. I Centr. App., sent. n. 836/2014).

L’orientamento più recente della Sezioni riunite della Corte dei conti (sent. n. 26 del 2019) conferma la natura risarcitoria tipizzata di tale responsabilità, che viene altresì qualificata “da mancata entrata”.

Le somme percepite devono essere restituite al lordo delle imposte, in quanto “il pregiudizio subito dall’Erario” è comprensivo delle “maggiorazioni di tutte le componenti retributive riferite alla posizione dell’interessato per il periodo di riferimento, ferma in ogni caso restando, per le voci che si assumono prive di lesività, l’eventuale successiva tutela dei corrispondenti diritti davanti agli organi competenti” (Sez. I Centr. App., sent. n. 160/2019; in termini analoghi, Sez. II Centr. App., sent. n. 260/2019).

La fattispecie non concerne solo le attività non autorizzate, ma anche quelle non autorizzabili in maniera assoluta, sia perché la tesi contraria darebbe luogo ad un regime di favore per i casi di maggiore gravità, sia in quanto la norma non distingue in alcun modo le due categorie di ipotesi.

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