Corte di Cassazione, ordinanza n. 16785 del 13 giugno 2023
La X, medico psichiatra, in data 31.1.2012 era stata individuata dalla ASL quale destinataria di contratto a tempo determinato con apposita determinazione dirigenziale in pari data, seguita lo stesso giorno dalla sottoscrizione del contratto, in cui si dava atto dell’avvenuta favorevole sottoposizione della medesima alla visita di idoneità all’impiego, il tutto per il servizio da svolgere presso il Dipartimento di Salute Mentale (SPDC), in sostituzione di medico assente e ciò dal 16.2.2012 al 15.2.2013 e comunque non oltre la data di rientro del titolare; successivamente, in data 8.2.2012, la X aveva palesato all’Azienda il proprio stato di gravidanza, a seguito di ultima mestruazione del 26.10.2011.
In esito a confronti e contestazioni tra le parti, il Direttore delle Risorse Umane aveva dapprima comunicato alla X che essa non avrebbe dovuto prendere servizio il giorno iniziale stabilito nel contratto, perché lo stato di gravidanza impediva di farlo, stante il divieto di cui all’art. 7 d. lgs. 151/2011, Allegato A punto L; in data 28.3.2012 la ASL ha quindi disposto l’annullamento della determina dirigenziale di nomina della X e del conseguente contratto di lavoro in ragione della inidoneità della stessa alle mansioni.
L’inquadramento del vizio, in questo caso, sulla base degli accertamenti di fatto svolti dalla Corte territoriale e previa parziale integrazione dell’argomentazione giuridica da essa svolta, va svolto muovendo dal dato normativo per cui vi è divieto durante la gravidanza all’assegnazione a certe mansioni (art. 7 d. lgs. 151/2000), a tutela della gestante e del feto.
Tra queste mansioni rientra quelle di «assistenza e cura degli infermi nei sanatori e nei reparti … per malattia nervose e mentali» e ciò «durante la gestazione e per i setti mesi dopo il parto» (All. A all’art. 7 lett. L); a ciò va associata la considerazione, sempre svolta dalla Corte di merito, per cui quel divieto sarebbe stato tale da coprire l’intero periodo del rapporto a termine per esigenze sostitutive instaurato.
E’ chiaro che, a fronte di un contratto a termine per esigenze sostitutive di uno specifico lavoratore, su un incarico con tratti di spiccata professionalità quale è uno psichiatra, non può esservi luogo a ragionare in termini di allocazione altrove della gestante che sia stata assunta a tempo determinato e proprio e solo per quello specifico fine.
La fattispecie di pone all’intersezione tra l’ipotesi di una sostanziale impossibilità giuridica dell’oggetto (la prestazione resa non poteva infatti essere resa) ed al contempo di una illiceità della causa in concreto (perché l’attuazione di quello scambio si sarebbe posta in contrasto con il divieto di legge), in ogni caso ipotesi tutte destinate ad integrare la nullità ai sensi dell’art. 1418, co.2, c.c.; impossibilità giuridica ed illiceità della causa che operano – si badi bene – in forza di ragioni di tutela inderogabile che va ben oltre la persona del lavoratore, estendendosi, a tutela rafforzata anche del neonato, fino al settimo mese dopo il parto e dunque al di là delle ordinarie regole di astensione obbligatoria dal rapporto di lavoro.
A fronte di tale nullità la P.A. ha giustamente ritenuto di non far iniziare il lavoro e poi di rifiutare l’attuazione del contratto.
Ogni questione su disparità di trattamento tra generi o su interferenze rispetto al diritto della gestante, a tutela delle proprie chances, di non rilevare la propria condizione al momento dell’assunzione non hanno dunque rilievo, in quanto quelle condizioni di fatto nel caso di specie rilevano come dato obiettivo e impeditivo per legge, con la forza del divieto, dell’instaurazione di un valido rapporto, i cui difetti genetici lo rendono nullo di pieno diritto.
Per analoghe ragioni è mal posto il richiamo al divieto di licenziamento (art. 54 d.lgs. 151/2001) o alla valorizzazione di profili di colpa della gestante (co. 3 lett. a della norma), proprio perché qui non di licenziamento si tratta, come sopra spiegato, né a fondare la decisione stanno addebiti mossi nei riguardi della R., ma solo i dati obiettivi da cui deriva la nullità del rapporto.