Consiglio di Stato, sentenza n. 7200 del 24 luglio 2023
L’appello è basato sulla affermazione per la quale l’impresa aveva diritto, in presenza di un evento del tutto atipico quale la sospensione delle prestazioni per effetto della pandemia, alla proroga della concessione richiesta, ovvero alla proroga di 38 settimane commisurata al periodo che va dal 23 febbraio 2020 al 30 novembre 2020 e dunque includente le settimane nelle quali le attività di somministrazione erano aperte, ma il rapporto sarebbe stato gestito in perdita, atteso il minore accesso ai locali della scuola da parte della popolazione studentesca.
L’Impresa ha richiesto, altresì, una sorta di sospensione delle prestazione ai sensi dell’articolo 107 del codice dei contratti, sino al termine del periodo di emergenza ad onta del fatto che in tale ultima fase sarebbe stato comunque assicurato un servizio di distribuzione automatica e quindi una sorta di esercizio in deroga, in quanto erogato non alle condizioni previste dal contratto ma in considerazione della ripresa, da non imputare al periodo di proroga a partire dalla ripresa delle attività in presenza, dal 2021 e per tutto il periodo di emergenza.
Il fondamento logico della richiesta di riequilibrio delle condizioni economiche finanziarie (con la proroga di 38 settimane) si fonderebbe, per la sua determinazione quantitativa, nel diritto ad ottenere il risultato dell’esercizio della impresa quale sarebbe stato in condizioni operative normali, non inframmezzate o interrotte da eventi non prevedibili.
Il contratto di concessione, secondo le regole generali ben calibrate nella specificità del testo in questione, prevede il trasferimento, in capo all’affidatario di un servizio dato in concessione, del rischio operativo; pertanto, come in condizioni operative normali, non è garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei servizi oggetto della concessione.
In sostanza, il rischio d’impresa che nella specie è il cosiddetto rischio di domanda ovvero la possibilità di non recuperare nemmeno gli investimenti e i costi sostenuti in concreto, per effetto dei diversi volumi di domanda del servizio, grava totalmente in capo al concessionario.
Va da sé che il presupposto per la corretta allocazione di tale rischio nel senso predetto sono le condizioni operative cosiddette normali, e dunque l’assenza di eventi non prevedibili e non imputabili al concessionario, tali da alterare le condizioni di ordinarie che determinano la situazione di equilibrio delle prestazioni negoziate. Ed in questo senso, come ha correttamente riconosciuto il primo giudice, l’emergenza pandemica può essere considerato evento imprevedibile in grado di non garantire l’ottimale allocazione del rischio e l’equilibrio economico finanziario naturalmente ed ordinariamente previsto nel progetto imprenditoriale.
Tuttavia, per tali eventualità, articolo 165 del decreto legislativo n. 50 del 2016 prevede, al comma sei, che “il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto…… In caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziaria, le parti possono recedere dal contratto”.
Orbene, è del tutto evidente dal testo appena richiamato, che non esiste, come pare ritenuto dall’odierna appellante, il diritto ad ottenere una revisione e tanto meno nei termini che la stessa ritiene soddisfacenti per le sue esigenze di imprenditore, giacché la clausola di chiusura ovvero la ultima vera alternativa anche per l’ imprenditore, è il recesso dal contratto.
In sostanza, l’ordinamento non garantisce il diritto ad una revisione che riconosca le condizioni pretese dalla parte privata contraente. Impone l’onere in capo ai concedenti di avviare trattative sul punto. Trattative che la pubblica amministrazione conduce sempre dovendo avere ben presente oltre all’ordine contrattuale civilistico, l’interesse pubblico in questione.
La norma prevede la ricerca di un accordo; la mancanza dell’accordo legittima il recesso dal contratto