Corte di Cassazione, quarta sezione penale, ordinanza n. 30386 dep 12 luglio 2023
La questione sollevata e: se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, intervenuta l’estinzione del reato per prescrizione, il giudice debba pronunciarsi sulle statuizioni civili sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell’”oltre ogni ragionevole dubbio” ovvero di quella processual-civilistica del “più probabile che non”.
Il giudice rimettente osservava come, in base al riferito consolidato orientamento del giudice della nomofilachia, anche nell’applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen. non potrebbe prescindersi dalla formulazione di un implicito giudizio di colpevolezza, al fine di confermare la condanna risarcitoria. Ma, in tal modo, la disposizione censurata lederebbe il principio di presunzione di innocenza garantito all’imputato dalla norma convenzionale e da quelle europee, tutte assunte a parametri interposti, in quanto la prima, come interpretata dalla Corte EDU, escluderebbe la possibilità che in un procedimento successivo a quello penale conclusosi con un risultato diverso da una condanna, possano essere emessi provvedimenti che presuppongono un giudizio di colpevolezza della persona in ordine al reato precedentemente contestatole; parimenti le seconde, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, imporrebbero agli Stati membri di garantire che le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino una persona come colpevole finché la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.
I giudici delle leggi hanno ritenuto la questione proposta non fondata, dettando, con una sentenza interpretativa di rigetto, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 578 cod. proc. pen.
Premette la Corte costituzionale al § 6.2. che l’art. 578 cod. proc. pen. «mira a soddisfare un’esigenza di tutela della parte civile; quella che, quando il processo penale ha superato il primo grado ed è nella fase dell’impugnazione, una risposta di giustizia sia assicurata, in quella stessa sede, alle pretese risarcitorie o restitutorie della parte civile anche quando non possa più esserci un accertamento della responsabilità penale dell’imputato ove questa risulti riconosciuta in una sentenza di condanna, impugnata e destinata ad essere riformata o annullata per essere, nelle more, estinto il reato per prescrizione».
Per quello che rileva in questa sede, al § 11 i giudici delle leggi, dopo avere illustrato in precedenza la portata e il significato del diritto alla presunzione di innocenza nell’ordinamento convenzionale e in quello europeo, rilevano che «occorre ora verificare se il giudice dell’appello penale, che, in applicazione della disposizione censurata, è chiamato a decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili dopo aver dichiarato l’estinzione del reato, debba effettivamente procedere ad una rivalutazione complessiva della responsabilità penale dell’imputato, nonostante l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione e il proscioglimento dall’accusa penale». La risposta è che: «In realtà (…) si ha che, nella situazione processuale di cui alla disposizione censurata, che vede il reato essere estinto per prescrizione e quindi l’imputato prosciolto dall’accusa, il giudice non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili». Al successivo § 12 si aggiunge che: «Anzitutto, un tale giudizio non è richiesto dal tenore testuale della disposizione censurata (art. 578 cod. proc. pen.) che, a differenza di quella immediatamente successiva (art. 578-bis cod. proc. pen.), non prevede il «previo accertamento della responsabilità dell’imputato». E al successivo § 13 i giudici delle leggi spiegano che: «Inoltre tale esegesi – a ben vedere – non trova ostacolo nella giurisprudenza di legittimità che il giudice rimettente richiama a fondamento delle sue censure di illegittimità costituzionale con riferimento sia ai rapporti tra l’immediata declaratoria delle cause di non punibilità e l’assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova (artt. 129 e 530, comma 2, cod. proc. pen.), sia all’individuazione del giudice competente per il giudizio di rinvio in seguito a cassazione delle statuizioni civili (art. 622 cod. proc. pen.), sia all’impugnabilità con revisione (art. 630, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.) della sentenza del giudice di appello di conferma della condanna risarcitoria in seguito a proscioglimento dell’imputato per prescrizione del reato.
Da una parte il principio di diritto (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 maggio15 settembre 2009, n. 35490) – secondo cui, in deroga alla regola generale, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta l’estinzione del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili – presuppone, per un verso, il carattere “pieno” o “integrale” della cognizione del giudice dell’impugnazione penale (il quale non può limitarsi a confermare o riformare immotivatamente le statuizioni civili emesse in primo grado, ma deve esaminare compiutamente i motivi di gravame sottopostigli, avuto riguardo al compendio probatorio e dandone poi conto in motivazione); per altro verso, non presuppone (né implica) che il giudice, nel conoscere della domanda civile, debba altresì formulare, esplicitamente o meno, un giudizio sulla colpevolezza dell’imputato e debba effettuare un accertamento, principale o incidentale, sulla sua responsabilità penale, ben potendo contenere l’apprezzamento richiestogli entro i confini della responsabilità civile (in seguito, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 20 marzo-8 aprile 2013, n. 16155; sezione quarta penale, sentenze 21-28 novembre 2018, n. 53354 e 16 novembre12 dicembre 2018, n. 55519)».
Il tema che, ad avviso di questa Corte, è rimasto in ombra concerne la compressione dello spazio per l’assoluzione dell’imputato, pur in assenza dell’evidenza della prova dell’innocenza di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., a fronte di un compendio probatorio che non consenta di superare il limite del ragionevole dubbio.
La sentenza costituzionale n. 182/2021 impone al giudice, in casi come quello in esame (e, si noti, non solo quando si faccia questione di nesso causale ma anche quando si controverta sull’elemento soggettivo: cfr. § 14.1.), di rapportarsi ad una fattispecie di illecito che non coincide più con quella di reato e impone l’uso della regola di giudizio civilistica del più probabile che non in luogo di quella dell’oltre ogni ragionevole dubbio; laddove la permanente centralità dell’ente reato e la persistente vincolatività della regola di giudizio formulata dall’art. 533 cod. proc. pen. pur nella delibazione in chiave civilistica (cfr. Sez. 4, n. 11193 del 10/02/2015, Rv. 262708, per la quale «l’azione civile che viene esercitata nel processo penale è quella per il risarcimento del danno patrimoniale o non, cagionato dal reato, ai sensi dell’art. 185 cod. pen. e 74 cod. proc. pen; con la conseguenza che nella sede civile, coinvolta per effetto della presente pronunzia, la natura della domanda non muta. Si dovrà cioè valutare incidentalmente l’esistenza di un fatto di reato in tutte le sue componenti obiettive e subiettive, alla luce delle norme che regolano la responsabilità penale»; in senso conforme ancora Sez. 4, n. 5901 del 18/01/2019, Rv. 275122) – sono le premesse della soluzione interpretativa delineata dalla sentenza Tettamanti.
Pertanto, a parere di questo Collegio, la decisione cui si dovrebbe pervenire nel presente procedimento si contrapporrebbe al decisum di Sez. U. Tettamanti, dovendone disapplicare il principio secondo cui all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale
rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in
sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato
a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle
statuizioni civili