Anche per il medico con rapporto non esclusivo è vietata ogni attività di carattere commerciale e/o imprenditoriale

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 181 del 26 ottobre 2023

La Dott.sa X, medico oncologo in regime di non esclusività presso l’ASST, è stata convenuta in giudizio dalla Procura regionale per avere svolto, almeno fino a tutto l’anno 2019, incarichi incompatibili con il pubblico impiego e in particolare:

– attività di lavoro libero-professionale presso il Centro Y, società accreditata con il SSN dal 2012 al 2016 per compensi totali pari ad euro 3.114,59, di cui euro 2.276,59 percepiti dopo l’accreditamento;

– attività di lavoro subordinato alle dipendenze della Z s.a., società esercente in materia immobiliare con sede in Svizzera, facente capo al padre, dal 2012 al 2019, per compensi totali pari ad euro 86.779,17 (CHF 96.421,30) al lordo delle ritenute alla fonte ovvero CHF 88.321,44 al netto.

Occorre valutare separatamente le due tipologie di attività contestate: la prima di carattere medico presso struttura accreditata con il SSN (a far data dal 6 febbraio 2012 sino a tutto il 2016), la seconda di tipo commerciale (dal 2012 al 2019).

Venendo alla seconda attività contestata, quella di carattere commerciale, ritiene il Collegio che ricorra la violazione dell’art. 53 D.lgs. n. 165/2001, con la conseguente responsabilità erariale tipizzata nel comma 7 bis, così come inserito dall’art. 1, comma 42, lett. d) della L. n. 190/2012, ovvero l’aver svolto attività lavorativa retribuita incompatibile con il rapporto di pubblico impiego e non aver riversato il relativo compenso all’amministrazione di appartenenza.

Nella specie viene in evidenza una situazione di incompatibilità assoluta, la cui disciplina normativa viene richiamata nel comma 1 dell’art. 53 cit. ed è stata puntualmente riportata in citazione. Che si tratti di incompatibilità assoluta, come quella di specie, o relativa (come quella derivante dallo svolgimento senza autorizzazione di attività autorizzabile, cui fa espresso riferimento il comma 7) l’illecito che ne deriva è foriero di danno erariale e non v’è ragione perché il criterio di quantificazione ex lege del danno (commisurato, ai sensi del ridetto comma 7, all’ammontare dei compensi percepiti e non riversati) non valga per entrambe le ipotesi (cfr. questa Sezione n. 94/2019 e n. 28/2023). Tale illecito, con le conseguenze che ne derivano ex lege, presuppone infatti, sia nel caso di incompatibilità assoluta, che relativa, la violazione degli obblighi di comunicazione che fanno capo al dipendente pubblico quando si tratta di assumere incarichi esterni, la cui valutazione di compatibilità con il rapporto di impiego non può che spettare alla p.a.

L’attività in questione, come dimostrano entità e costanza dei compensi e la sua formalizzazione sul piano giuridico, non può essere considerata solo sporadica o occasionale come pretenderebbe la difesa.

L’illecito in questione, per quanto tipizzato ex lege in alcuni suoi elementi, non integra ipotesi di responsabilità sanzionatoria o formale, bensì di carattere risarcitorio, e, pertanto, occorre accertarne l’elemento soggettivo (cfr. SS.RR. n. 26/2019, cui, per brevità, si rinvia, anche per l’approfondito inquadramento sistematico).

Questo sussiste alla luce degli atti di causa.

Il Collegio ritiene condivisibile sul punto la prospettazione di parte attrice secondo cui l’elemento psicologico che appare aver sorretto la condotta della convenuta è quello del dolo, tanto più se si considera che il comando normativo violato è talmente chiaro da non lasciare dubbi sulla sua consapevole violazione. A tal fine assumono decisiva rilevanza le circostanze evidenziate in citazione e documentate, come l’avere azienda ospedaliera per la quale prestava servizio la convenuta avvisato, con apposita e dettagliata circolare (cfr. la nota del 21.1.2014, prodotta sub doc. 7) i medici propri dipendenti del regime di incompatibilità degli incarichi previsto dalla legge, ovvero l’avere la convenuta domandato l’autorizzazione preventiva allo svolgimento di incarichi extraistituzionali, diversi da quelli oggetto di causa

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