Consiglio di Stato, sentenza n. 9277 del 27 ottobre 2023
Coglie nel segno la censura con la quale l’appellante ha evidenziato l’erroneità della sentenza di prime cure, laddove questa ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancata tempestiva impugnazione della clausola di cui all’art. 6.5 del disciplinare.
Il TAR ha omesso di considerare il vizio di nullità che inficia tale clausola, in quanto contrastante con la previsione dell’art. 47, comma 2-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016 che, per i consorzi stabili di impresa, ammette la possibilità del c.d. cumulo alla rinfusa dei requisiti di partecipazione. Non poteva, pertanto, la legge di gara stabilire l’esclusione di quei consorzi nei quali i requisiti di partecipazione (nella specie: l’iscrizione al REN) fossero posseduti dalle singole consorziate e non anche dal consorzio medesimo. Simile ragione di esclusione, in quanto contraria alla legge ed esorbitante dal catalogo tipico delle clausole escludenti, quali previste dal Codice del 2016 e dalle altre leggi vigenti, è affetta da nullità ai sensi dell’art. 83, comma 5, ultimo periodo, del d.lgs. n. 50 del 2016 (ratione temporis vigente).
Deve ricordarsi, sul punto, che, in linea generale, la nullità, quale conseguenza della violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, colpisce le clausole con le quali l’amministrazione impone ai concorrenti determinati adempimenti o prescrizioni, ai fini della ammissione alla procedura di gara, che non trovano alcuna base giuridica nelle norme che (nel Codice dei contratti pubblici o nelle altre disposizioni di legge vigenti) prevedono cause di esclusione (comprese quelle che, pur non prevedendo espressamente – quale conseguenza – l’esclusione dalla gara, impongano adempimenti doverosi o introducano, comunque, norme di divieto – in tal senso, della Sezione, cfr. le sentenze n. 3452 del 2022 e n. 7257 del 2020).
Essendo nulla ed improduttiva di effetti, detta clausola non andava semplicemente applicata né dal seggio di gara né, eventualmente, dal giudice e ciò, senza che fosse necessaria la sua impugnazione da parte dell’offerente esclusa. Non è condivisibile, sul punto, l’affermazione della sentenza gravata (punto 20) secondo cui il rilievo della nullità, pur avanzato da parte appellante già in primo grado, non supererebbe “il rilievo che la clausola del bando era perfettamente definita e insuscettibile di varia interpretazione nei suoi contorni di operatività”. Ad assumere rilievo, ai fini della definizione della presente controversia, non è infatti la perentorietà lessicale della clausola – invero, del tutto chiara nel suo significato potenzialmente escludente – ma è, come prima evidenziato, la sua nullità nella parte in cui impone il possesso del requisito di partecipazione in capo al consorzio stabile (oltre che alle singole imprese consorziate).
In riforma della sentenza gravata, pertanto, il ricorso di primo grado deve essere accolto, con conseguente annullamento degli atti di esclusione impugnati. Per l’effetto, l’odierna appellante – la quale, comunque, non ha avanzato domanda di inefficacia del contratto, eventualmente già stipulato, né domanda di subentro, ai sensi degli artt. 121 ss. cod. proc. amm. – va riammessa in gara, non risultando agli atti l’avvenuta conclusione del relativo procedimento.