Corte di Cassazione, sentenza n. 40428 del 4 ottobre 2023
L’art. 323 cod. pen., prevedendo che l’abuso di ufficio debba essere commesso «nello svolgimento delle funzioni o del servizio», circoscrive la punibilità delle condotte abusive alle sole condotte realizzate dal pubblico funzionario nell’ambito della sua attività funzionale, quale espressione dell’attività pubblica a lui affidata. Ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo del reato di abuso d’ufficio, è, dunque, necessario che la condotta sia realizzata attraverso l’esercizio del potere pubblico attribuito al soggetto agente, configurando i comportamenti non correlati all’attività funzionale, o meramente occasionati da essa, una mera violazione del dovere di correttezza, non rilevante ai sensi dell’art. 323 cod. pen. anche se in contrasto di interessi con l’attività istituzionale (Sez. 6, n. 14721 del 17/02/2022, Raponi, Rv. 283150 – 01). Quando il pubblico ufficiale agisca del tutto al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni, non è, invece, configurabile il reato di abuso di ufficio (Sez. 6, n. 1269 del 5/12/2012 (dep. 2013), Marrone, Rv. 254228-01; Sez. 6, n. 5118 del 25/02/1998, Percoco, Rv. 211709 – 01)
La fattispecie dell’abuso di ufficio non contempla, dunque, quelle forme di abuso realizzabili dal funzionario senza servirsi in alcun modo dell’attività funzionale da lui svolta, ossia mediante usurpazione o il semplice sfruttamento della sua qualifica soggettiva, della sua posizione o del proprio potere di influenza. Del resto, quando il legislatore ha inteso attribuire autonoma rilevanza all’abuso della qualità, lo ha fatto espressamente, come nella fattispecie della concussione di cui all’art. 317 cod. pen.
Proprio la situazione dell’abuso di qualità dell’imputato ricorre nel caso di specie. La segnalazione del fratello, ad opera dell’imputato, nella riunione informale del 26 ottobre 2016 è, infatti, avvenuta al di fuori dello svolgimento delle proprie funzioni e, per quanto accertato dalle sentenze di merito, facendo valere esclusivamente la propria influenza politica nell’ambito dell’amministrazione del Comune di Roma. Le sentenze di merito, del resto, hanno accertato che l’interpello volto a designare il direttore della Direzione Turismo non dava luogo a una procedura comparativa con predisposizione di una graduatoria, ma aveva una mera funzione esplorativa per consentire al Sindaco una valutazione dei profili di ciascun candidato. La decisione spettava, dunque, al Sindaco, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, su proposta dell’Assessore alle politiche delle Risorse Umane, sentito l’assessore competente per materia, secondo quanto previsto dal testo, nella formulazione allora vigente, degli artt. 34, 38 e 38-bis dello Statuto di Roma Capitale. Nessun potere di proposta, di segnalazione e tanto meno di scelta, pertanto, spettava in questo articolato procedimento all’imputato, in qualità di direttore del Dipartimento organizzazione e risorse umane di Roma Capitale. Difettando, dunque, l’estremo dello «svolgimento delle funzioni o del servizio», viene meno anche la possibilità di configurare il reato di abuso d’ufficio nei confronti dell’imputato.