Dall’esame dei documenti si può rilevare che la dott.ssa X, che non era dirigente, ma funzionario nominato direttore di servizio ai sensi del comma 4 bis, non aveva espletato il quinquennio nelle funzioni dirigenziali, considerato che il comma 4 sexies sopra richiamato impediva che le funzioni svolte potessero essere valutate ai fini dell’accesso alla carriera dirigenziale, con ciò escludendo qualunque equiparazione, in disparte la circostanza che la sua nomina quale direttore di servizio fosse del mese di gennaio 2017, ovvero risalente a soli tre anni prima della vicenda in esame.
L’Assessore Y non poteva ignorare le norme sopra richiamate, essendo contenute nella legge cardine dell’organizzazione amministrativa della Regione, come non poteva non sapere a quale titolo la dott.ssa X fosse stata nominata “dirigente” dell’ASPAL (nomina, peraltro, dichiarata illegittima dal Giudice Amministrativo, come sottolineato dalla Procura attrice).
Accertato, quindi, che la nomina non avrebbe potuto essere fatta in base all’art. 28 citato, e che a tal fine non avrebbe potuto essere computato neppure il periodo nel quale aveva svolto le funzioni di dirigente, la dott.ssa X è stata considerata “esterna” al sistema Regione, per poter applicare l’art. 29, il cui comma 1, dispone “le funzioni di direttore generale possono essere conferite anche a persone estranee all’Amministrazione e agli enti, in possesso del diploma di laurea, che abbiano capacità adeguate alle funzioni da svolgere ed abbiano svolto per almeno un quinquennio funzioni dirigenziali in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private.” Tale norma è stata oggetto di interpretazione autentica (contenuta nella legge regionale n. 26 del 21 dicembre 2019), in conformità all’art. 19 del D.lgs. n. 165 del 2001 “nel senso che le funzioni di direttore generale possono essere conferite a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, esterne ai ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati, ovvero aziende pubbliche o private, con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.”
Dal curriculum allegato alla domanda della dott.ssa X si evince agevolmente che la stessa era in aspettativa dalla Regione e, conseguentemente, non poteva essere considerata “esterna”, oltre a non avere l’esperienza quinquennale nelle funzioni dirigenziali (la nomina presso ASPAL era del 2017). La mancanza del requisito principale richiesto dall’art. 29 impediva, altresì, di applicare la seconda parte dell’art. 29 in base all’interpretazione autentica sopra riportata, ossia di considerare la particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, anch’essa circoscritta entro limiti ben definiti.
Dall’esame degli atti di causa, appare chiara la volontà dell’Assessore Y di nominare la dott.ssa X quale Direttore generale del personale e la sua condotta presenta tutti gli elementi del dolo, come si evince dalla sequenza degli atti posti in essere nel corso del procedimento di nomina.
Infatti, non si può ipotizzare che non fosse a conoscenza della posizione della dott.ssa X all’interno dei ruoli dell’Amministrazione regionale, né della normativa da applicare; in caso contrario, si sarebbe dovuta avvalere del supporto della struttura amministrativa, che ha chiesto solo dopo essere stata convocata dal P.M. penale. La sua dichiarazione di non avere alcuna competenza in merito alla valutazione del possesso dei requisiti (cfr. nota prot. n. 916 del 4 marzo 2022), lungi dal giustificarne il comportamento, costituisce, a parere di questa Corte, un’aggravante, visto il ruolo ricoperto all’epoca da Valeria Y, Assessore degli Affari Generali, Personale e Riforma della Regione e considerato che la mancanza degli stessi appariva ictu oculi dalla domanda presentata dalla dott.ssa X per la selezione.
Con riferimento alla quantificazione del danno, non appaiono meritevoli di accoglimento le osservazioni della difesa che ha chiesto di considerare che l’incarico è stato svolto pienamente, così che gli emolumenti non potrebbero essere considerati danno, oppure di scomputare dalle retribuzioni quelle che sarebbero state percepite dalla dott.ssa X in base al ruolo da lei rivestito all’interno dell’Amministrazione regionale, o, ancora, di considerare che nel mese di febbraio 2022 la convenuta si era attivata presso gli uffici dell’Assessorato, per chiedere la verifica dei requisiti al fine dell’eventuale revoca della nomina, e presso l’Avvocatura regionale.
Orbene, questo Collegio ritiene che la violazione della vincolante prescrizione in occasione del conferimento dell’incarico di direttore generale della RAS a un soggetto privo dei requisiti basilari integri un fatto dannoso per l’erario dell’Ente.
Proprio la mancanza dei parametri tutti, complessivamente intesi, richiesti dalla legge quale condizione legittimante dell’assunzione o dell’incarico, consente di affermare che la relativa prestazione è incongrua rispetto al fine pubblico. Pertanto, ne deriva che una prestazione resa da un soggetto in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge non può ritenersi “sovrapponibile” a quella resa da un soggetto che tali requisiti non abbia (cfr. in termini, Sez. II app. n. 361/2019 citata).
Venendo quindi al caso in esame, la spesa sostenuta dalla RAS per le retribuzioni erogate alla dott.ssa X, che non possedeva i requisiti per ricoprire l’incarico, è da ritenersi una spesa indebita e, pertanto, dannosa.