Corte di Cassazione, ordinanza n. 1157 dell’11 gennaio 2024
Un direttore di struttura complessa impugnava l’ordine di servizio con cui veniva modificato il suo incarico e, in corso di causa, dopo qualche anno presentava le dimissioni. L’ASL ritiene che le dimissioni abbiano fatto venire meno l’interesse ad agire del lavoratore.
L’azienda sanitaria richiama i precedenti di questa Corte – in particolare Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012 – con quali è stato ribadito il nesso tra interesse ad agire ed azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ed è stato quindi chiarito che, nel caso di domanda del lavoratore volta a conseguire unicamente l’accertamento dell’inadempimento datoriale, la successiva cessazione del rapporto di lavoro in corso di causa determina il sopravvenuto difetto di interesse ad agire, non essendo possibile per il lavoratore conseguire dalla pronuncia giurisdizionale un risultato utile giuridicamente apprezzabile (cfr. altresì Cass. Sez. L – Ordinanza n. 30584 del 28/10/2021).
Parte ricorrente, tuttavia, omette di considerare che in tali precedenti, il difetto sopravvenuto di interesse ad agire è stato subordinato alla mancata formulazione di una domanda risarcitoria, evidente essendo che, ove tale domanda sia invece presente, la cessazione del rapporto di lavoro non vale ad elidere l’interesse del lavoratore a conseguire l’accertamento dell’inadempimento datoriale, e ciò proprio ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria che in tale inadempimento trova fondamento.
È stato, quindi, recentemente ribadito che, in tema di dequalificazione professionale, ove il lavoratore richieda l’accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l’interesse ad ottenere la pronunzia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest’ultimo evento soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza ma non sul diritto all’accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto, escludendo, quindi, la correttezza di una statuizione di sopravvenuto difetto di interesse ad agire in una ipotesi in cui il lavoratore ricorrente, sin dal ricorso introduttivo, aveva fatto espressa riserva di proporre azione per il risarcimento del danno da demansionamento (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 4410 del 10/02/2022).