Consiglio di Stato, sentenza n. 11307 del 29 dicembre 2023
Punto essenziale della controversia è l’individuazione dell’organo competente ad annullare un atto viziato da incompetenza. Secondo il primo giudice, infatti, che richiama sul punto giurisprudenza del Consiglio di Stato –in verità alquanto risalente nel tempo – in tale ipotesi non troverebbe applicazione il principio c.d. del contrarius actus stante che le valutazioni sostanziali sottese (anche) ad una valutazione di secondo livello non potrebbero essere legittimamente effettuate da un soggetto non fornito della necessaria competenza. Sicché, essendo stata la procedura concorsuale bandita in dispregio dell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, che riserva ai vertici burocratici degli uffici l’adozione degli atti gestionali, distinti e autonomi rispetto a quelli politici, la Giunta non avrebbe potuto reiterare l’errore, annullando ciò che non avrebbe dovuto adottare.
La ricostruzione non può essere condivisa.
L’articolo 21-novies della legge n. 241 del 1990, dispone che il provvedimento illegittimo possa essere annullato d’ufficio dallo stesso organo che lo ha emanato, demandandone la facoltà ad un altro solo ove previsto dalla legge.
La disposizione ha altresì codificato la tipologia di valutazione richiesta alla pubblica amministrazione che decide di autoemendarsi, ovvero l’individuazione di un interesse pubblico che in comparazione con l’affidamento riposto dal privato sulla correttezza dell’operato della p.a., risulti comunque prevalente. Esso non si identifica nel mero ripristino della legalità lesa, ma richiede una approfondita analisi di contesto costituzionalmente orientata secondo i canoni dell’imparzialità e del buon andamento (articolo 97 Cost.), retta altresì dai principi generali dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 della medesima legge n. 241/1990, non a caso di recente modificato mediante l’introduzione di un comma espressamente consacrato al rispetto della leale collaborazione e della buona fede nei rapporti reciproci (comma 2-bis, introdotto dall’art. 12 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120). Di fatto, dunque, occorre tenere conto in particolare della necessaria “proporzionalità” dell’azione amministrativa, intesa quest’ultima come dovere di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei privati, se non nei casi di stretta necessità ovvero di indispensabilità, procedendo all’annullamento d’ufficio quando ciò sia necessario al fine di evitare un danno non proporzionato agli interessi dei privati coinvolti nel procedimento (v. direttiva del Ministro della Funzione pubblica del 17 ottobre 2005, emanata nell’immediatezza dell’entrata in vigore della novella).
La discrezionalità valutativa sottesa all’esercizio del potere di autotutela implica per regola quella sottesa anche all’adozione del provvedimento che si intende rimuovere. L’eliminazione dalla realtà giuridica di un atto, cioè, non può che spettare allo stesso soggetto pubblico che lo ha adottato, così da assicurare la costante aderenza dell’attività amministrativa al principio di legalità che deve conformarla. Di regola, cioè, solo all’ organo che ha adottato un atto, in quanto titolare della competenza c.d. primaria, è riconosciuta la capacità di rivalutarlo, rivedendo lo stesso ordine di questioni di cui il provvedimento annullato costituiva espressione.
Il legislatore inoltre non ha fatto distinzioni tra tipologie dei vizi tradizionali che si vanno ad emendare.
In tutti i casi previsti dall’art. 21-octies, tra i quali rientra anche l’incompetenza non destinata a tradursi in un vero e proprio difetto di attribuzione (causa di nullità assoluta ex art. 21- septies), il provvedimento illegittimo può essere annullato d’ufficio solo «dall’organo che lo ha emanato […]».
Per quanto qui di interesse, dunque, è innegabile che l’approvazione del bando di una selezione non rientri tra i compiti dell’organo politico, cui è riservata caso mai la pianificazione a monte delle scelte assunzionali sulla base delle disponibilità finanziarie dell’Ente. L’art. 48, comma 3, del T.u.e.l., infatti, invocato da parte appellata, riserva alla Giunta l’approvazione del regolamento sugli uffici e servizi, che è ben altra cosa dall’avvio di una selezione pubblica, in quanto attiene all’architettura organizzativa dell’Ente, non alle sue specificazioni attuative. Quale che fosse pertanto la volontà della Giunta, ovvero pure se essa avesse avuto il mero intento di dare avvio ad un procedimento da perfezionarsi a cura degli uffici comunali preposti allo scopo, certo è che essa si è avocata una competenza non propria e che del tutto legittimamente, sotto tale aspetto, poteva tornare sui suoi passi annullando l’atto originario.
Il Collegio ritiene quindi che entro tali limiti debba essere accolto il primo motivo di appello, non potendosi condividere l’affermazione del primo giudice che nega sic et simpliciter il potere di annullamento d’ufficio di un atto viziato da incompetenza allo stesso organo che lo ha adottato.L’individuazione di un vizio di incompetenza, d’altro canto, è di per sé sufficiente ad “azzerare” la situazione ripristinando lo status quo ante mediante la caducazione dell’atto cui si riferisce.