Corte di Cassazione, sentenza n. 35056 del 14 dicembre 2023
La Corte territoriale ha escluso che l’art. 15-quinquies, comma 4, d.lgs. n. 502/1992 attribuisca ai dirigenti sanitari un diritto soggettivo perfetto allo svolgimento dell’attività intramuraria, essendo rimessa alle scelte organizzative dei vertici aziendali la determinazione delle unità che possono esercitare la propria attività anche in privato
Il ricorso è fondato, dovendo essere rimeditato l’orientamento espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 32709/2018, secondo cui «la mancata creazione di idonee strutture e spazi per l’attività intramuraria e in generale la mancata attivazione delle condizioni per l’esercizio della libera professione intramoenia, nell’ambito della normativa applicabile ratione temporis, determina la sola conseguenza espressamente prevista (dall’art. 4, comma 3, della legge n. 724 del 1994) della eventuale risoluzione del contratto del direttore generale dell’Azienda ospedaliera, potendo solo il legislatore prevedere eventuali ulteriori conseguenze della mancata attivazione di dette condizioni…».
Si ritiene, infatti, condivisibile il diverso principio espresso da questa Corte nell’ordinanza n. 12785/2023, la quale ha riconosciuto la sussistenza di un vero e proprio diritto contrattuale dei dirigenti medici all’esercizio dell’attività libero professionale intra moenia, a fronte delle previsioni contenute nell’art. 4, comma 7, della legge n. 412/1991, secondo cui «…L’esercizio dell’attività liberoprofessionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dall’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse…», e di quanto stabilito dall’art. 4, comma 10, del d.lgs. n. 502/1992, che ha sancito l’obbligo delle aziende sanitarie di mettere a disposizione dei professionisti spazi adeguati per l’esercizio della professione: «…In caso di documentata impossibilità di assicurare gli spazi necessari alla libera professione all’interno delle proprie strutture, gli spazi stessi sono reperiti, previa autorizzazione della regione, anche mediante appositi contratti tra le unità sanitarie locali e case di cura o altre strutture sanitarie, pubbliche o private. Per l’attività libero-professionale presso le suddette strutture sanitarie i medici sono tenuti ad utilizzare i modulari delle strutture sanitarie pubbliche da cui dipendono…».
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla stessa Corte territoriale che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, di seguito si enuncia:
Il dirigente medico assunto a tempo indeterminato in regime di esclusività è titolare di un diritto soggettivo allo svolgimento dell’attività libero professionale intramuraria, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Grava, pertanto, sull’Azienda sanitaria l’obbligo di adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie per consentire la realizzazione delle condizioni al cui verificarsi l’esercizio dell’attività medesima è subordinato. L’inadempimento dell’Azienda e l’ingiustificato ritardo legittimano il dirigente medico a chiedere il risarcimento del danno e la relativa azione è regolata, quanto al riparto degli oneri di allegazione e di prova, dal principio enunciato da Cass. S.U. n. 13533 del 2001.