Corte costituzionale, sentenza n. 8 del 23 gennaio 2024
La disposizione regionale sospettata condiziona all’assenza di carichi pendenti l’ammissione all’esame d’idoneità professionale, il cui superamento è funzionale all’iscrizione nel ruolo dei conducenti e al conseguimento della licenza per l’esercizio del servizio di taxi e dell’autorizzazione all’esercizio del servizio di NCC. In questi termini, essa impedisce la partecipazione al suddetto esame in virtù della mera pendenza di un qualsiasi carico penale: ogni ipotesi di reato prevista dalla legislazione, una volta oggetto d’imputazione, finisce, quindi, per determinare tale effetto ostativo.
Il vulnus al principio di proporzionalità, in tal caso, non attiene alla legittimità del fine che il legislatore regionale sembra essersi prefissato, ma riguarda, piuttosto, il macroscopico difetto, in concreto, di una connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore pugliese e il fine che questi intende perseguire, perché la disposizione censurata finisce per intercettare, con effetto ostativo, una vastissima gamma di possibili violazioni alla legislazione penale che nulla hanno a che vedere con l’affidabilità dei soggetti che ambiscono ad essere ammessi all’esame in questione.
Nella sentenza n. 161 del 2018, questa Corte, del resto, ha sì escluso il contrasto con il principio di proporzionalità di norme che, in sostanza, precludono, a coloro che abbiano subito una condanna penale per determinati reati, il mantenimento (e, a monte, il conseguimento) dell’autorizzazione allo svolgimento della professione di autotrasportatore di cose per conto terzi e di viaggiatori con autobus. Ma ciò proprio in quanto non si trattava di un’elencazione «casuale», perché dettata «ora dall’oggettiva gravità della violazione, ora dalla relazione fra questa e l’attività svolta dall’interessato».
L’art. 8, comma 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 1995 non effettua, invece, alcuna selezione e produce, in tal modo, un effetto interdittivo del tutto sproporzionato, operando, come detto, anche in relazione a molteplici fattispecie che non manifestano alcuna correlazione causale tra il requisito in parola e lo scopo cui esso stesso dovrebbe essere funzionale.
La preclusione stabilita dalla norma regionale, oltretutto, sorge per effetto della mera pendenza del carico penale. Questa Corte, invece, ha precisato che la «linea tendenziale dell’ordinamento» è quella di ritenere che lo specifico presupposto di operatività di effetti extrapenali – analoghi a quelli previsti dalla disposizione censurata – debba essere «che l’accertamento della responsabilità penale sia stato oggetto di un primo vaglio giudiziario», sicché sia ravvisabile «un nesso affidabile – quale riflesso del diritto dell’indagato a non essere considerato colpevole, nel procedimento penale, sino all’emanazione di un provvedimento irrevocabile di condanna – tra la possibile responsabilità penale e l’idoneità a svolgere determinate attività richiedenti particolari requisiti di moralità» (sentenza n. 152 del 2022).
Del resto, lo stesso legislatore statale ha oggi chiarito in via generale, all’art. 335-bis cod. proc. pen., che «[l]a mera iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito».