Il decreto milleproroghe (dl 215/2023) ha previsto la possibilità di conferire incarichi libero-professionali a medici in pensione, ipotesi altrimenti vietata dall’art. 5 co. 9 del dl 95/2012, ma non ha prorogato la deroga al (con conseguente reviviscenza del) divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro.
Difatti tale norma è stata introdotta per la prima volta dal comma 5 art. 2-bis del dl 18/2020, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Al medesimo comma, ultimo periodo, veniva precisato: Agli incarichi di cui al presente comma non si applica l’incumulabilità tra redditi da lavoro autonomo e trattamento pensionistico di cui all’articolo 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4.
La norma citata fa riferimento al divieto di cumulo tra trattamento pensionistico “anticipato” (c.d. quota 100, 102, 103, ecc) e redditi da lavoro, in cui si prevede che in caso di conseguimento di reddito da lavoro, bisogna restituire la pensione di un anno. Era evidente che se un medico avesse dovuto scegliere tra una pensione da 70.000 euro stando a casa, e un incarico professionale da 40.000 euro lavorando e facendo i turni, difficilmente avrebbe scelto l’incarico professionale.
Successivamente la possibilità di conferire incarichi professionali a medici in quiescienza è stata prorogata dal comma 4-bis dell’art. 36 del dl 73/2022, che ora recita: L’applicazione delle disposizioni dell’articolo 2-bis, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è prorogata fino al 31 dicembre 2024.
Come si evince, ora il testo vigente riporta la proroga fino al 31 dicembre 2024, data modificata dall’entrata in vigore del c.d. “milleproroghe” il 30/12/2023. Prima la scadenza della deroga era fissata al 31/12/2023.
Purtroppo il legislatore ha effettuato una scelta che conduce ad un testo poco leggibile. Infatti l’art. 4 comma 6 del decreto milleproroghe, dopo aver modificato il termine ultimo di efficacia della deroga, ha precisato: Resta fermo quanto previsto dagli articoli 14, comma 3, e 14.1, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26.
Quindi, di fatto, il legislatore ha espressamente reintrodotto il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro per coloro che sono andati in pensione anticipatamente.
Tale modifica rischia di essere una vera e propria “trappola” per gli interessati. Infatti tanti tra gli uffici delle aziende sanitarie, nell’esigenza di dover garantire l’erogazione delle prestazioni, hanno atteso la proroga che è arrivata proprio l’ultimo giorno, e quindi gli uffici hanno provveduto in gran fretta a prorogare gli incarichi in essere o a stipulare nuovi contratti, senza avere il tempo di esaminare la norma con calma. Lo stesso dicasi per gli interessati, che, tra l’altro, essendo sanitari non sono sicuramente avvezzi alla consultazione di norme giuridiche riguardanti il pubblico impiego e/o il trattamento pensionistico.
Purtroppo se qualche medico, confidando nella deroga al cumulo introdotta nel 2020 e di volta in volta prorogata, dovesse aver conseguito anche per un solo giorno un reddito da lavoro, dovrebbe restituire all’INPS tutta la pensione di un anno.
Non a caso l’INPS ha tenuto a ricordare, in modo sibillino, tale normativa il 30 gennaio 2024 (cfr L’INPS ricorda l’incumulabilità tra redditi da lavoro e pensioni “anticipate” ), specificando che “in caso di mancato rispetto del regime di non cumulabilità, l’INPS è tenuta a sospendere la pensione e a recuperare le mensilità pagate indebitamente“.