Corte di Cassazione, ordinanza n. 1471 del 15 gennaio 2024
Nella specie, vengono in rilievo due istituti poco approfonditi in dottrina ed in giurisprudenza, vale a dire il comando e il distacco. Il comando propriamente detto (talora denominato “di diritto pubblico”: Cass., Sez. L, n. 17842 dell’8 settembre 2005) è stato disciplinato, innanzitutto, dall’art. 56 del T.U. n. 3 del 1957,
La nozione di comando sopra esposta descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una Pubblica Amministrazione, viene temporaneamente a prestare servizio presso altra Amministrazione o presso altro ente pubblico e importa, da un lato, l’obbligo di prestare servizio presso un ufficio od un ente diverso da quello di appartenenza e, dall’altro, la dispensa dagli obblighi di servizio verso l’Amministrazione di origine
La giurisprudenza ha chiarito che nel comando – che determina una dissociazione fra titolarità del rapporto d’ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione – si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera (Cass., Sez. L, n. 13482 del 29 maggio 2018).
Per l’esattezza, nel pubblico impiego privatizzato le esigenze che rilevano, con riguardo al comando, sono quelle dell’Amministrazione di destinazione (Cass., Sez. L, n. 12100 del 16 maggio 2017) che, pertanto, assume i poteri di gestione del rapporto di lavoro in forza dell’imperatività del provvedimento: ne deriva che non possono gravare sul datore di lavoro distaccante gli oneri economici direttamente connessi all’attività prestata presso l’amministrazione di destinazione, titolare dell’interesse primario al comando, salva una diversa e specifica previsione di legge che diversamente disponga (Cass., Sez. L, n. 17842 dell’8 settembre 2005). Il collocamento nella posizione di comando va considerato un istituto di carattere straordinario.
In conclusione, caratteristiche del comando sono che: coinvolge Pubbliche amministrazioni differenti; è posto in essere nell’interesse della Pubblica amministrazione presso la quale il lavoratore è comandato; è disposto con provvedimento amministrativo della P.A. beneficiaria.
Ulteriormente distinta da quella del comando è, poi, la fattispecie della utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, a volte denominato distacco (o, più precisamente, distacco di diritto pubblico) nella giurisprudenza amministrativa. Trattasi di istituto in realtà ignoto alla legislazione del pubblico impiego, al quale è estraneo in linea di principio. Tuttavia, nella prassi, il termine distacco aveva ed ha ancora una certa diffusione in ambito pubblicistico, benché sia utilizzato, di solito, impropriamente. Il c.d. distacco di diritto pubblico si distingue dal comando perché, in teoria, l’impiegato non viene assegnato ad una pubblica amministrazione distinta da quella di appartenenza, ma – temporaneamente – ad un ufficio, diverso da quello nel quale è formalmente incardinato, ma comunque dell’amministrazione datrice di lavoro. Non si tratta pertanto, neppure di un trasferimento che consiste, invece, nel mutamento definitivo del luogo di lavoro, ma, eventualmente, di un’applicazione provvisoria. Nel caso del c.d. distacco di diritto pubblico, quindi, a rilevare sono le esigenze dell’amministrazione di appartenenza. Il c.d. distacco di diritto pubblico (il quale, si ribadisce, non è tecnicamente un vero distacco) non va confuso con il vero distacco, ossia il distacco privatistico, istituto con il quale condivide lo stesso nome.
Non è sempre agevole, nell’ambito del pubblico impiego, distinguere fra comando e distacco, proprio perché quest’ultimo termine è spesso usato impropriamente per indicare situazioni riconducibili, piuttosto, al comando di diritto pubblico o, al massimo, all’avvalimento. Questa frequente confusione semantica rende sovente molto difficile individuare la corretta disciplina applicabile alla fattispecie. Per questa ragione la giurisprudenza ha, di solito, cercato, per risolvere le questioni che via via erano poste alla sua attenzione, di valorizzare l’interesse prevalente nella vicenda. Infatti, da quanto esposto emerge con chiarezza che, nel settore pubblico, sia nel comando sia nelle ipotesi impropriamente chiamate di distacco, a rilevare sono le esigenze dell’amministrazione, per l’esattezza di quella di destinazione nel comando e di quella di appartenenza nel c.d. distacco di diritto pubblico che, non a caso, riguarda essenzialmente gli spostamenti, temporanei, all’interno della medesima P.A.
Il fatto, però, che, dal punto di vista sostanziale, sia sempre il soggetto utilizzatore a sopportare, in ultima istanza, il trattamento del dipendente (il che si spiega con la circostanza che la P.A. di appartenenza non può rifiutare il suo consenso, siccome il dipendente va ad operare nell’interesse della P.A. di destinazione) non può consentire di ignorare la circostanza che ormai l’ente tenuto formalmente a pagare la retribuzione del lavoratore è sempre l’ente di appartenenza.
Tale circostanza induce ad individuare, allora, comunque in quest’ultimo soggetto quello legittimato passivamente nelle controversie attinenti alla gestione del rapporto di lavoro ed alle conseguenze economiche degli eventi che la riguardano, anche se verificatisi dopo l’inizio dell’applicazione presso un’altra P.A. In questo modo è superato, quantomeno in ordine al profilo della menzionata legittimazione passiva e con riguardo alle ipotesi di comando di diritto pubblico che deve essere autorizzato, l’orientamento della giurisprudenza sopra citata (ossia Cass., Sez. L, n. 17768 dell’8 settembre 2015, Cass., Sez. L, n. 18460 del 29 agosto 2014 e Cass., Sez. L, n. 7971 del 5 aprile 2006) che valorizzava, al fine dell’accertamento di detta legittimazione, l’individuazione in concreto del soggetto portatore dell’interesse per soddisfare il quale era consentito l’utilizzo del dipendente ad opera di altra P.A. Si tratta, infatti, di sentenze che concernono situazioni verificatesi prima dell’entrata in vigore dell’art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001.