Le ferie vanno monetizzate anche al direttore di struttura complessa, se l’azienda non dimostra di averlo invitato a fruirne

Corte di Cassazione, sentenza n. 9877 del 11 aprile 2024

Va evidenziato che la Corte di Giustizia UE in data 18 gennaio 2024, in C-218/2022 ha affermato che l’art. 7 della direttiva 203/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, e l’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego, sia negli anni precedenti, e non goduti alla data dicessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non avere goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà.

Nel caso di specie è indiscusso che il X fosse un dirigente apicale (infatti la Corte territoriale, pur avendolo qualificato come tale, ha dato atto delle richieste di implementazione del personale, dal medesimo rivolte alla Direzione dell’Azienda). Questa Corte ha comunque precisato che il potere di autodeterminazione delle ferie del dirigente di struttura complessa non è assoluto, come risulta dal comma 8 dell’art. 21 del c.c.n.l. 5.12.1996 (v. sul punto Cass., Sez. L, n. 13613/2020), e non esonera comunque il datore di lavoro dall’obbligo di assicurarsi concretamente che il lavoratore sia posto in grado di fruire delle ferie, donde la non decisività del dedotto profilo in ordine all’esistenza, nella specie, di un potere di autodeterminazione delle ferie in capo al dirigente di struttura complessa (Cass. n. 32380/2023 cit. ), in quanto la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie -se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato, in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, nel caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato(Cass. n. 21780/2022).

La sentenza impugnata non è conforme a tali principi, in quanto a fronte di un accumulo considerevole di ferie non godute ( 170 giorni) , di un’accertata situazione di carenza di personale , ed in assenza di un formale invito al lavoratore a fruire delle ferie, ha ritenuto dirimenti i poteri organizzativi del lavoratore,così vanificando il diritto alla monetizzazione. L’assetto sostanziale della fattispecie, secondo l’indirizzo della Corte di Giustizia, deve invece muovere dalla verifica di che cosa sia stato fatto dal datore di lavoro perché quelle ferie fossero godute e quali fossero i rapporti tra quell’endemica insufficienza di organico, evidentemente non imputabile al lavoratore, e la necessità di assicurare la prosecuzione del servizio, il tutto infine con una regola ultima di giudizio, individuata sempre dalla Corte di Giustizia, che, nei casi incerti, pone l’onere probatorio a carico del datore di lavoro e non del lavoratore. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio

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