Consiglio di Stato, sentenza n. 4336 del 15 maggio 2024
La giurisprudenza, richiamata invero anche dal primo giudice, è consolidata nel ritenere che nelle controversie relative alla clausola di revisione del prezzo negli appalti di opere e servizi pubblici, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in conformità della previsione di cui all’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, cod. proc. amm., sussiste nell’ipotesi in cui il contenuto della clausola implichi la permanenza di una posizione di potere in capo all’amministrazione committente, attribuendo a quest’ultima uno spettro di valutazione discrezionale nel disporne la revisione, mentre, nella contraria ipotesi in cui la clausola individui puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza di tale obbligo ad un diritto soggettivo dell’appaltatore, il quale fa valere una mera pretesa di adempimento contrattuale, come tale ricadente nell’ambito della giurisdizione ordinaria (in termini Cass. Sez. Un., 12 ottobre 2020, n. 21990; Cons. Stato, III, 25 luglio 2023, n. 7291).
Posto tale principio, la sentenza ha ritenuto che oggetto di controversia fosse l’applicazione di clausole contrattuali enucleanti criteri di determinazione e aggiornamento del canone certi e privi di ogni margine di discrezionalità da parte dell’amministrazione, sì da affermare la natura paritetica dell’atto di aggiornamento del corrispettivo, anche in considerazione del fatto che risulta sottoscritto da entrambe le parti.
A bene considerare, però, il contesto di riferimento è differente, in quanto l’impugnata determinazione n. 1092 in data 18 ottobre 2022 dichiaratamente contiene una rideterminazione dei canoni in autotutela, oltre che il conguaglio ed aggiornamento dal 2 marzo 2009 all’1 marzo 2022. L’esercizio del potere di autotutela inevitabilmente porta con sé un minimum imprescindibile di valutazione discrezionale nella revisione, che si accompagna, nel caso di specie, al fatto che già con la precedente determinazione n. 630 del 10 aprile 2022 il Comune aveva rideterminato, quanto meno con la decorrenza 2 marzo 2011, unilateralmente il canone contrattuale.
Merita, a questo riguardo, ricordare come in giurisprudenza sia stato già posto in evidenza che nel caso in cui un primo atto di riconoscimento della revisione prezzi venga annullato da un successivo atto adottato nel preteso esercizio di poteri di autotutela, l’annullamento così operato fa venire meno il “diritto alla revisione” originariamente riconosciuto e riconduce la relativa pretesa dell’appaltatore nell’alveo degli interessi legittimi, ambito di pertinenza della giurisdizione amministrativa (così Cons. Stato, III, 24 marzo 2022, n. 2157, che richiama Cass., Sez. Un., 19 febbraio 1999, n. 81).
Si può dunque ritenere che il Comune, sin dall’approvazione della revisione del 2012, abbia fatto esercizio di un potere caratterizzato da un apprezzamento discrezionale di natura autoritativa, rispetto al quale l’odierna appellante si trova in posizione non di equiordinazione.
Al potere discrezionale dell’amministrazione corrisponde, secondo la classica diade concettuale, una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, che, in coerenza con l’ordinario criterio di riparto, impone la devoluzione della presente controversia al giudice amministrativo.