Niente cittadinanza ai disabili con deficit cognitivi? La parola alla Corte Costituzionale

TAR Emilia Romagna, ordinanza n. 145 del 30 maggio 2024

Risulta  che il legislatore, con l’art. 9.1 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91 abbia operato una indebita preclusione della concessione della cittadinanza italiana a quei soggetti che, in ragione della impossibilità di apprendere la lingua per gravi disabilità e certificati deficit cognitivi, non siano nelle condizioni di documentare la conoscenza della lingua italiana, analogamente a come l’art. 10 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, prima dell’intervento della Corte costituzionale con la sentenza 8 novembre – 7 dicembre 2017 n. 258, precludeva l’efficacia del decreto di concessione della cittadinanza, nel caso di mancato giuramento entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, anche ai soggetti incapaci di soddisfare tale adempimento in ragione di una grave e accertata condizione di disabilità.

In definitiva, la condizione personale di grave disabilità, declinantesi in un deficit cognitivo e di apprendimento e di invalidità grave, per come documentata nel caso di specie, tale da impedire l’apprendimento della lingua italiana non dovrebbe essere, ad avviso del Collegio, preclusiva della concessione della cittadinanza italiana, pena l’obliterazione del diritto allo status civitatis, dei principi di tutela dei diritti inviolabili e di uguaglianza di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione, del sistema sicurezza sociale declinato dall’art. 38 della Costituzione e del diritto di acquisire, mantenere e cambiare la cittadinanza di cui all’art. 18 della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, che, per effetto del c.d. «rinvio mobile» effettuato dall’art. 10 della Costituzione, assume rango costituzionale.

Per le ragioni evidenziate, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale illustrata in parte motiva e constatata l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente adeguata della normativa in questione, questo Tribunale rimette alla Corte costituzionale, ai sensi dell’articolo 1 della Legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell’articolo 23 della Legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9.1 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotto dall’art.14, comma 1, lettera a-bis del Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla Legge 1 dicembre 2018, n. 132, per violazione degli articoli 2, 3, 10 e 38 della Costituzione.

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