La sezione d’Appello della Corte dei Conti ribadisce che è occultamento doloso (con slittamento della prescrizione) anche la semplice omissione di atti dovuti

Corte dei Conti, Terza Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, sentenza n. 176 del 13 giugno 2024

Un professore aveva ricevuto compensi dal 2007 al 2011 per prestazioni non autorizzate, e la difesa, a fronte della richiesta di condanna alla restituzione dei compensi, ha eccepito la prescrizione del danno, essendo decorsi ben più di cinque anni.

La Corte ha ricordato che l’articolo 1 comma 2 della legge 20/1994 prevede che diritto risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero in caso occultamento doloso del danno, dalla data alla sua scoperta.

Sicché la regola codicistica di cui l’articolo 2935 codice civile alla cui stregua la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, viene declinata, nel processo contabile, nella norma sopracitata, secondo la quale al di fuori dei casi occultamento doloso del danno, il termine di prescrizione deve essere computato dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso e si realizza la deminutio patrimonii e la lesione patrimoniale si esteriorizza, rendendosi conoscibile al danneggiato secondo un criterio di ordinaria a diligenza.

Tale principio non trova applicazione nelle ipotesi di occultamento doloso del danno che impediscono la percepibilità e la conoscibilità di esso secondo l’ordinario diligenza. In tale ipotesi il legislatore ha voluto affermare la regola che l’esercizio dell’azione, e conseguentemente la decorrenza e la prescrizione, decorrono dal momento della conoscenza effettiva in luogo della conoscibilità obiettiva, sussistendono un obiettivo impedimento all’esercizio del diritto alla parte del suo titolare.

La condotta di occultamento secondo la giurisprudenza può consistere sul piano strutturale in un facere o in un comportamento omissivo quando ha oggetto un atto dovuto, cioè un atto cui il debitore sia tenuto per legge.

Questa sezione di appello ha affermato in adesione al succitato indirizzo che si può occultare non solo ponendo in essere una condotta ulteriore rispetto alla fattispecie integrativa del danno eraiale, ma anche mantenendo occultati fatti dannosi semplicemente rimanendo silenti, nel senso di realizzare non un comportamento meramente passivo, ma di serbare maliziosamente il silenzio su circostanze del rapporto impiego che il ricorrente ha un dovere giuridico di fare conoscere al proprio datore di lavoro.

In conclusione, il professore è stato condannato a restituire euro 266.784,83

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