In tema di whistleblowing e licenziamento ritorsivo, deve essere valutato il contesto, non solo l’esistenza della causa di licenziamento

Corte di Cassazione, sentenza n. 12688 del 9 maggio 2024

Se è vero che in tema di licenziamento ritorsivo, il motivo illecito, determinante ed esclusivo, richiede il previo accertamento dell’insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento (cfr. Cass. n. 9468 del 2019; Cass. n. 6838 del 2023), pare al Collegio che la Corte territoriale non abbia correttamente sorvolato sull’accertamento della violazione dell’art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001 e dei previsti obblighi di protezione, trincerandosi sulla ritenuta sussistenza di una giusta causa, come detto, oggetto dei suddetti fondati rilievi

Come da questa Corte già affermato l’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceità del motivo unico e determinante (l’intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso (Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 23149 del 2016; Cass. n. 26035 del 2018; Cass. n. 28399 del 2022; Cass. n. 3548 del 2023). 

È stato altresì precisato che in tema di licenziamento ritorsivo, l’accoglimento della domanda di accertamento della nullità è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, essendo da escludere ogni giudizio comparativo fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 21465 del 2022; Cass. n. 21465 del 2022; Cass. n. 26395 del 2022; Cass. n. 6838 del 2023 cit.).

Deve anche essere ricordato che, come sottolineato anche da questa Corte (di recente: Cass. n. 14093 del 2023), la segnalazione ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 (cd. “whistleblowing”) sottrae alla reazione disciplinare del soggetto datore tutte quelle condotte che, per quanto rilevanti persino sotto il profilo penale, siano funzionalmente correlate alla denunzia dell’illecito, risultando riconducibili alla causa di esonero da responsabilità disciplinare di cui alla norma invocata (al riguardo, vedi anche: Corte EDU, Grande Camera, Halet c. Lussemburgo del 14 febbraio 2023).

Orbene, nello specifico, se il fatto omissivo contestato a X non appare in sé direttamente collegabile alle denunce dallo stesso presentate, tuttavia è il contesto in cui l’addebito disciplinare si inserisce e il dedotto esautoramento di attribuzioni, anche in un’ottica di individuazione delle competenze del predetto, che assumono rilevanza al fine di meglio delineare la relativa responsabilità. 

Le ragioni sottese ai sopra sintetizzati motivi di impugnazioni appaiono, dunque, legate l’una all’altra in un rapporto di inscindibile connessione; né poteva la Corte territoriale trattare atomisticamente le questioni poste dall’appellante, prescindendo da una contestualizzazione della vicenda all’interno della quale si è inserito il provvedimento espulsivo.

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