Indagini bancarie e presunzioni di reddito: la sintesi della Suprema Corte e le differenze tra reddito d’impresa, lavoro autonomo, altri redditi

Corte di Cassazione, sentenza n. 19107 dell’11 luglio 2024

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la presunzione (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma dell’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti come è reso palese dal richiamo, operato dal citato art. 32, anche all’art. 38 del medesimo d.P.R., riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche (attinente ad ogni tipologia di reddito di cui esse siano titolari). 

La previsione in oggetto si articola nel modo che segue: 

a) i «dati ed elementi» attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio); 

b) la presunzione secondo cui i versamenti ed i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo).

Pertanto, mentre l’operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia adempiendo l’onere di dimostrare che «ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» (così, sostanzialmente, Cass. n. 1519 del 20/01/2017; conf. Cass. n. 29572 del 16/11/2018; nel senso indicato si veda anche Cass. n. 22931 del 26/09/2018, nonché la giurisprudenza ivi richiamata). 

Più nel dettaglio, il contribuente deve provare «che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità» (Cass. n. 15161 del 16/07/2020; Cass. n. 16896 del 24/07/2014; Cass. n. 13035 del 24/07/2012; Cass. n. 25365 del 05/12/2007; Cass. n. 18016 del 09/09/2005).

Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pertanto, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass. n. 4829 del 11/03/2015; Cass. n. 21303 del 18/09/2013).

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