Il medico non ha diritto al pagamento dell’eccedenza oraria, nemmeno in caso di errore dell’ASL nel conteggio delle ore

Corte di Cassazione, sentenza n. 20796 del 25 luglio 2024

Un dirigente medico di I livello in servizio presso la ASL, UOC di emergenza sanitaria territoriale, chiedeva l’accertamento dell’erroneo sistema di calcolo del cd. debito orario giornaliero adottato dall’ASL in occasione delle assenze per ferie, festività, permessi ecc.; in particolare, la dirigente esponeva che, contrariamente a quanto accadeva per i giorni di presenza in servizio, il turno di lavoro ‒ la cui durata era quantificata in 6 ore e 20 minuti al dì, per un totale di 38 ore settimanali ‒, veniva calcolato dalla ASL, nei giorni di assenza, nella più ridotta misura di sole 6 ore giornaliere, così determinando un maggiore debito orario e il conseguente onere di svolgimento di lavoro “supplementare” per il recupero dello stesso fino alle 38 ore settimanali, donde, per tal guisa, il diritto a pretenderne la relativa remunerazione.

La Suprema Corte ha stabilito in proposito il seguente principio di diritto: Il dirigente medico che eserciti un’azione di esatto adempimento non può ottenere nulla più della retribuzione mensile a lui spettante, la quale è stabilita, su base mensile e non oraria, in misura omnicomprensiva di tutte le prestazioni dal medesimo rese, senza che il suo ammontare abbia nulla a che vedere con il tempo effettivo dedicato al lavoro. In particolare, egli non ha diritto ad essere compensato per il lavoro eccedente rispetto all’orario indicato dalla contrattazione collettiva, pure se esso sia dipeso dall’erroneo criterio di calcolo adottato dall’ASL per determinare il debito orario minimo assolto; in tale evenienza, potrà eventualmente far valere la responsabilità datoriale a titolo risarcitorio, ove abbia patito un pregiudizio concreto alla salute, alla personalità morale o al riposo, che dovrà specificamente allegare e provare, anche attraverso presunzioni semplici.

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